venerdì 4 settembre 2009

Quel clandestino un po' particolare. Intervista ad Andrea Professione, 18 agosto 2009

Andrea Professione è l’avvocato del foro di Torino il cui nome è associato negli ultimi giorni alla vicenda dell’immigrato bengalese ventisettenne Jahangir Chaklander il quale, dopo aver chiamato il 113 per denunciare l’aggressione subita da parte di tre malviventi, è stato a sua volta denunciato dalla polizia per “reato di clandestinità” (in quanto privo di permesso di soggiorno, in base al cosiddetto “decreto sicurezza” approvato l’8 agosto scorso) ed assoggettato a un provvedimento di espulsione. Grazie all’opera svolta dall’avv. Professione, la Procura della Repubblica ha accolto la richiesta della Questura di concedere a Chaklander un permesso a fini di protezione sociale (previsto dall’art. 18 del decreto legislativo n° 286 del 25 luglio 1998, “Testo unico sull’immigrazione”).

Come e quando è venuto a conoscenza del caso di Jahangir Chaklander?
Sono stato contattato telefonicamente da alcuni amici di Chaklander appena questi ha ricevuto il decreto di espulsione, subito dopo l’aggressione subita ad opera di tre malviventi, che sono stati prontamente catturati.

Di cosa si occupa solitamente?
Mi occupo di diritto penale. Di tanto in tanto mi sono occupato in particolare di casi di stranieri in difficoltà, soprattutto per questioni legate al permesso di soggiorno, anche se il caso di Chaklander è un po’ diverso dal solito.

In che senso?
Il permesso di soggiorno a fini di protezione sociale viene solitamente concesso a persone che sono a rischio fisicamente oltre che socialmente. Il caso particolare è quello delle donne, soprattutto del centrafrica, che denunciano i propri sfruttatori, che le costringono a prostituirsi. La norma, tuttavia, prevede la possibilità di concedere il permesso anche in casi come quello del mio cliente: il legislatore, evidentemente, ha ritenuto più importante assicurare dei malfattori alla giustizia italiana anziché espellere un immigrato con i documenti non in regola.

Il “permesso di soggiorno a fini di protezione sociale” è un diritto sancito dalla legge, o è “concesso” dalle autorità in maniera discrezionale?
Il permesso di cui all’art. 18 non è “concesso” dalla Procura in maniera discrezionale. È un diritto sancito, appunto, dalla legge e in tal senso vale per tutti indistintamente. La Procura, ovviamente, valuta la sussistenza dei requisiti per l’applicabilità della legge.

Un altro caso simile potrebbe trovarsi in difficoltà, per mancanza di un avvocato, per ignoranza della legge, o altro ancora?
Anche la Questura ha la facoltà di attivarsi autonomamente in tal senso. Essa emette il decreto di espulsione come atto dovuto, in base alla normativa vigente. Allo stesso modo, quando ricorre l’ipotesi della concessione di un permesso di soggiorno per motivi particolari, come nel caso in esame, può attivarsi spontaneamente.

Che durata ha questo permesso? Alla scadenza Chaklander verrà rimpatriato?
Non verrà rimpatriato. L’iter dell’art. 18 prevede che, proprio ai fini di una protezione sociale efficace e concreta, si faccia di tutto per inserire il soggetto nel mondo del lavoro (pur non essendoci alcuna garanzia che tale inserimento avvenga effettivamente). Verranno dunque intraprese tutte le azioni necessarie in tal senso, a cura dell’Ufficio Stranieri del Comune di Torino. Dimodoché, alla scadenza di questo permesso, Chaklander potrà – si spera – beneficiare di un nuovo permesso di soggiorno come lavoratore dipendente.

Il reato di clandestinità verrà trascritto sulla sua fedina penale?
La sua fedina penale resterà com’era, perché al momento il procedimento per la sua espulsione resta congelato, mentre va avanti quello per il rilascio del permesso di soggiorno. La denuncia iniziale non avrà più alcun seguito. Così come il decreto di espulsione non avrà più alcuna validità.

Questa possibilità normativa (cioè la protezione sociale) è una crepa in uno Stato schizofrenico, o un salutare “distinguo”? Ritiene che il “decreto sicurezza” dell’8 agosto 2009 sia coerente con la Costituzione e con la normativa preesistente?
Purtroppo, a guardarlo in profondità, qualunque sistema normativo presenta delle contraddizioni. L’art. 18 si inserisce in un quadro legislativo che, da un lato, è volto a regolare l’ingresso dei cittadini stranieri, dall’altro intende aiutare le persone che si trovino in difficoltà e che in qualche modo possono portare un contributo fattivo alla giustizia italiana. Questa è evidentemente, come dicevo prima, l’intenzione del legislatore, e questa è stata anche la linea seguita dalla Questura e dalla Procura di Torino.

Come si sente Chaklander? Confida nel diritto italiano oppure, come ha scritto “La Gazzetta dello sport”, «la prossima volta, se mai dovesse capitargli, non chiamerà la polizia. Subirà il furto e resterà zitto, perché sarà il solo modo per rimanere “invisibile”?»
Che io sappia, il mio cliente non ha mai detto niente del genere. Era molto spaventato, questo sì, si è presentato in Questura timoroso perché, tra l’altro, non parlando bene l’italiano, non riusciva a comprendere appieno quanto stava accadendo attorno a sé. Però sapeva di non aver fatto nulla di male, per cui si è presentato fiducioso alle istituzioni e attende altrettanto fiducioso l’esito di questo procedimento.

Dunque: da un lato c’è una norma, appena approvata, che prevede l’espulsione e una multa da diecimila euro per il “reato di clandestinità”; dall’altro c’è un immigrato “irregolare” che, ciò nonostante, si sente “con la coscienza a posto” e si affida alle istituzioni. Quelle stesse istituzioni per le quali si può essere “rei”, “colpevoli” e “perseguibili” anche se “non si è fatto male a nessuno”. Come interpreta questa strana situazione?
Lui non si sente colpevole perché le circostanze lo hanno portato a lavorare, anche fino a sera tarda, come piccolo venditore ambulante, lavoro con il quale guadagna quei pochi soldi che riesce a mettere da parte per aiutare la famiglia in patria [la somma rubatagli dai tre assalitori ammontava a 20 euro, n.d.r.]. La sua è la perfetta buona fede di colui che sa di non star facendo male a nessuno. Pur sapendo di non essere in regola con i documenti, non ha avuto timore di esporsi personalmente in nome di una causa più grande ed importante: assicurare cioè alla giustizia tre delinquenti [ciò gli è stato riconosciuto dalla stessa Questura, che ha motivato la concessione del permesso sulla base del “senso civico di questo venditore di rose” oltre che delle “esigenze di protezione sociale e di giustizia”, n.d.r.]. Tra l’altro lui – al momento della denuncia dell’aggressione alla polizia – non era a conoscenza dell’esistenza dell’art. 18; non avrebbe mai immaginato che tutto ciò lo avrebbe condotto a ricevere un permesso di soggiorno.

Ilda Curti, assessore alle politiche sociali del Comune di Torino, commentando la legge sulla sicurezza ha dichiarato che «il rischio è che i deboli abbiano sempre meno tutele. Tanti stranieri non andranno più in ospedale a farsi curare, non manderanno più i figli a scuola, non denunceranno più i reati di cui sono testimoni o vittime». Condivide questa affermazione?
In parte. Direi che, tutto sommato, nonostante le incongruenze di cui abbiamo già parlato, il sistema di tutele italiano continua a tenere.

(«l'Altrapagina», settembre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano