venerdì 4 settembre 2009

Il lettore frastornato. Intervista a Claudio Fracassi, 19 agosto 2009

Claudio Fracassi, già direttore del settimanale «Avvenimenti» e del quotidiano «Paese sera», è cronista, ricercatore e scrittore di libri di storia e sul tema dell’informazione (tra i quali Sotto la notizia niente, Editori riuniti e Le notizie hanno le gambe corte, ed. Rizzoli).

Quasi i 3/4 del fatturato italiano annuo vanno all’oligopolio dei primi 5 grandi gruppi editoriali (RCS, L’Espresso, Mondadori, Il Sole 24 Ore, Caltagirone). Che ripercussioni ha questo dato sull’informazione?
Questa è una situazione che non è tipica solo dell’Italia, ma un po’ di tutti i Paesi industrializzati. Io non mi scandalizzo tanto dell’esistenza degli oligopoli, della concentrazione dell’informazione in poche mani (fenomeno anche in parte fisiologico), quanto del fatto che oggi, soprattutto in Italia, chi ha voglia di inserirsi come voce nuova e indipendente non ha spazio per farlo.

La fetta maggiore dell’incasso di un giornale non proviene dalle vendite, ma dalla pubblicità. Non c’è il rischio che i giornali siano più fedeli agli inserzionisti, che ai lettori?
Certamente il rischio c’è, ma questa eventualità non si verifica in maniera automatica, soprattutto nel caso dei giornali. La televisione vi è più esposta: è noto che certe trasmissioni vengono realizzate apposta come contenitori atti a veicolare la pubblicità di questo o quel prodotto.

Giuseppe Altamore (autore di I padroni della notizia, ed. Bruno Mondadori) ha scritto che il legame fra editoria e pubblicità si è talmente consolidato che oggi la pubblicità si cela nell’informazione e viceversa, in maniera non trasparente per il lettore. Che minaccia c’è qui per la libertà di stampa e per la democrazia?
È una minaccia tremenda, soprattutto perché il lettore non ha quasi mai gli strumenti intellettuali per individuare la pubblicità che si cela nell’informazione. Trovo a questo proposito disdicevole che un presentatore televisivo si metta a pubblicizzare, nel bel mezzo della propria trasmissione, un certo prodotto. Potremmo forse immaginare, che so io, Scalfari che promuove un prodotto durante un suo editoriale? La cosa non è solo esteticamente brutta; ciò che è peggio è che il messaggio pubblicitario così presentato acquisisce un’aura di “ufficialità” generata dalla commistione fra informazione, spettacolo e pubblicità, tre cose che dovrebbero rimanere sempre ben separate.

La quota del mercato pubblicitario televisivo di Mediaset è più che doppia rispetto alla RAI (64,4% – 29,1%); ciò non rispecchia – anzi inverte – la quota d’ascolto (40,5% – 41,8%). Come si spiega questa ennesima “anomalia italiana”?
Questa anomalia si basa su due pilastri. Il primo è che la RAI è soggetta a un “tetto” per la raccolta pubblicitaria, che MEDIASET non ha (il tetto è stato introdotto – almeno questa è la giustificazione “ufficiale” – per compensare il vantaggio dato alla RAI dal canone); perciò la distribuzione della pubblicità è falsata in partenza, non può rispecchiare la quota d’ascolto. Il secondo è che le agenzie per la raccolta pubblicitaria (le più importanti delle quali sono di proprietà dei grandi gruppi editoriali e televisivi) incanalano oltre il 70% della pubblicità verso la TV. Questa è davvero una anomalia tutta italiana: nel resto d’Europa la fetta maggiore della pubblicità viene data ai giornali, che ne escono rafforzati.

Recentemente il capo del governo ha esortato gli inserzionisti a boicottare “L’Espresso”. Come va considerato un Presidente del Consiglio ed editore che pubblicizza i propri prodotti (denigrando gli altri) all’interno del suo stesso discorso politico?
È una sorta di trionfo, di apoteosi del conflitto di interessi. Ma è anche uno schiaffo al mercato, il fatto che un Presidente del Consiglio utilizzi la propria posizione politica per indirizzare le scelte secondo gli interessi propri e della propria maggioranza di governo (criticando tra l’altro giornali colpevoli di non aver fatto null’altro che il loro mestiere, quello cioè di informare circa il fatto che l’economia italiana non va così bene come il governo sostiene).

Il governo Berlusconi ha dapprima cancellato dalla finanziaria 2009 i contributi alle cooperative di giornalisti; poi, all’ultimo momento, li ha reinseriti. Come va interpretato quel gesto? Quale tendenza intravede nell’operato di questo governo a proposito dell’informazione?
Questa è una questione complessa, perché quella dei finanziamenti all’editoria è una storia di furbizie e di sprechi, di finte cooperative e di finti giornali di partito che niente hanno a che fare con l’editoria popolare e cooperativa. Nel tentativo di porre rimedio a ciò, invece di “disboscare” la situazione, stanando gli imbroglioni al fine di sostenere meglio gli altri, il governo aveva deciso in un primo momento di tagliare i fondi a tutti. Ovviamente il governo sa bene di tenere l’editoria libera sotto la minaccia della spada di Damocle, il messaggio dato da quel taglio è piuttosto chiaro. D’altra parte, come ho in parte accennato prima, le agenzie per la raccolta pubblicitaria distribuiscono la pubblicità secondo i proprio interessi, che spesso coincidono con quelli dei pochi grandi gruppi editoriali. Piccoli giornali cooperativi anche molto validi vengono di conseguenza ulteriormente penalizzati da questa situazione, dal fatto cioè di non ricevere tutta la pubblicità che meriterebbero e che spetterebbe loro in base alle vendite effettive.

Il lavoro precario tra i giornalisti cresce negli ultimi tempi 4 volte di più di quello stabile. Ciò non alimenta forse un giornalismo pavido e sottomesso, se non addirittura ricattabile?
Senza dubbio. Se aggiungiamo ai primi 5 grandi gruppi editoriali citati all’inizio anche la televisione, è un fatto che oggi in Italia circa l’80% dell’informazione è riconducibile al governo e al suo Presidente. Ne consegue che un giovane giornalista che faccia oggi il suo ingresso, ad esempio, alla RAI, sappia già cosa è permesso e cosa è proibito. Ho sempre pensato che le intimidazioni a personaggi come Biagi o Santoro non fossero rivolte direttamente a loro, ma a tutti quegli altri che – dotati di poco potere contrattuale, perché non ancora famosi o non ancora all’apice della carriera – potevano facilmente venire indotti a pensare: “ma chi me lo fa fare?”. Simili pressioni, su di un lavoratore precario, si moltiplicano.

In Italia il mezzo di comunicazione più utilizzato è la TV. I quotidiani vendono mediamente 194 copie ogni mille abitanti contro le 766, ad esempio, della Danimarca. Quali difficoltà specifiche incontra la stampa in Italia?
Lo sbilanciamento della pubblicità verso la televisione cui ho già accennato innesca un circolo vizioso che penalizza sempre più i giornali mentre esalta il tubo catodico. L’Italia, di questo passo, rischia di diventare un Paese sottosviluppato: intendiamoci, non ho niente contro la TV, ma un Paese in cui si legge così poco, diciamolo francamente, non è un Paese normale.

A giudicare dalle notizie, sembra che – quando a delinquere è un italiano – faccia notizia il fatto in sé, mentre quando delinque uno straniero fa notizia la sua origine etnica. Quanto razzismo c’è nell’informazione? La situazione migliora o peggiora?
C’è molto razzismo nell’informazione e direi che le cose stanno peggiorando. Oggi gli assassini non sono più “mariti”, “operai”, “giovani” o “anziani”, bensì “marocchini”, “albanesi”, “polacchi” e così via. È vero che esiste un numero non indifferente di stranieri che delinquono, ma la maggior parte dei delitti, si sa, viene compiuta da italiani. Del resto, le organizzazioni criminali come la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta, sono composte da italiani. L’etichetta etnica associata a un reo o a un sospettato manifesta e alimenta un atteggiamento razzista.

I giornali vengono spesso accusati di lasciare il singolo inerme di fronte alla notizia. In che modo il giornalismo potrebbe (e dovrebbe) fornire gli elementi utili ad agire di conseguenza?
Indubbiamente le possibilità offerte oggi all’informazione e dall’informazione sono enormemente superiori rispetto a quelle del passato: la tecnologia ci dà l’accesso a una grande quantità di notizie in tempi brevissimi. Al contempo, purtroppo, aumenta di pari passo l’inaffidabilità delle fonti. Ciò pone l’utente nella impossibilità oggettiva di distinguere un fatto da una semplice notizia (che andrebbe verificata). Così l’informazione acquisisce il potere di creare il mondo attorno a noi come mai era successo prima: pur non avendo accesso diretto che a una piccolissima parte del mondo, crediamo di conoscerlo tutto intero grazie ai resoconti dei media. In più, chi fruisce dell’informazione ha un altro problema: quello di appropriarsi dei meccanismi con i quali le notizie vengono costruite e propagandate a partire dai fatti. Solo dopo questa appropriazione si può essere in grado di svelare l’eventuale inganno che vi si cela. Una adeguata alfabetizzazione all’informazione è di straordinaria importanza: è l’unico modo per diffondere il senso comune che le notizie non sono “oggetti” che vengono “scoperti”, bensì una faticosa costruzione operata da certe fonti.

Cambiare spesso giornale, leggere stampa estera, privilegiare le testate indipendenti. Quale consiglio si sente di aggiungere per il lettore che aspira ad essere “consapevole”?
Aggiungerei internet, come fonte preziosa (anche se spesso inaffidabile) di informazione. Va chiarito che si tratta pur sempre di un “lusso”: sono infatti pochissimi quelli che possono permettersi di acquistare e leggere più quotidiani al giorno o di verificare una notizia reperita in rete. Ritengo che il rimedio fondamentale consista in una totale ristrutturazione dei rapporti tra informazione e realtà e tra informazione ed utenti. Il problema può essere risolto a mio avviso solo se l’utente è in grado di trasformarsi da vittima dell’informazione a padrone della stessa: e ciò può avvenire solo, come ho detto prima, a partire da una solida alfabetizzazione mediatica.

(«l'Altrapagina», settembre 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano