L’impatto sociale del satanismo è assai limitato. Non c’è bisogno di allarmarsi, ma di attivarsi
Questi sono i dati, ufficiali e non (va notato, en passant, che tutti convengono sul fatto che, su questi temi, sia difficile ottenere informazioni “certificate”) offerti da chi conosce il fenomeno approfonditamente. D’altro canto, il numero dei balordi dediti –per noia, o per smania dell’eccesso nel sesso o nell’abuso di droghe – a un satanismo più o meno “fatto in casa”, è certamente più alto (tuttavia lì il problema non sembra essere il satanismo in quanto tale, che offre loro solo un pretesto per comportarsi da balordi quali sono, cosa che farebbero comunque in altri modi).
In un certo senso, dunque, credo che potremmo anche non allarmarci. Tuttavia, credo anche che non possiamo “starcene tranquilli”, continuando a osservare inerti il crescere di tendenze che ci preoccupano e dalle quali dissentiamo, come il citato disagio giovanile. Dovremmo invece impegnarci da subito per promuovere una cultura diversa da quella – a base di avidità e di invidia dell’altro – in cui prospera e pasce il male dell’umanità: non basta credere nella bontà o in una certa “morale”, foss’anche “cristiana” o perfino “cattolica”, bisogna rinvigorire in tutti i modi il tessuto di solidarietà fraterna che nelle nostre società si va sfaldando.
L’inferno è, sì, dell’altro mondo, ma molti ne ricevono un’anteprima anche in questo: sono i disoccupati, i malnutriti, i diseredati di ogni parte di questa terra, tutti gli esclusi dal nostro ricco banchetto privato. Cominciamo allora a trattare gli altri come vorremmo essere trattati noi al loro posto (cominciamo ad esempio ad accogliere gli immigrati e non a ricacciarli in patria il più in fretta possibile): il resto, questa è la nostra speranza – non solo cristiana – ci verrà dato in aggiunta.
(«Il Caffè», 10 luglio 2009)
