Anche l’adolescente più scontroso e introverso muta radicalmente quando si fidanza. Non siamo noi a conferire a noi stessi il nostro “star bene”, ma gli altri
Procediamo con ordine. Se proviamo a richiamare alla mente la nostra adolescenza, ricorderemo quanto fosse importante per noi l’approvazione dei compagni di classe: un loro sguardo silenzioso ci costringeva a chiederci immediatamente se avessimo qualcosa fuori posto; un loro incoraggiamento ci metteva subito di buon umore. In particolare, anche il carattere più scontroso e introverso mutava radicalmente appena si fidanzava; anche il più insicuro di sé, sentendosi accolto dall’altro sesso, prendeva coscienza di possedere un valore intrinseco. “Dunque valgo davvero qualcosa; altrimenti non mi starebbe vicino”: ecco cosa ciascuno di noi ha pensato almeno una volta nella vita, e prima di pensare (con convinzione, non per ripicca): “io valgo molto, che gli altri se ne accorgano o meno”.
Questo è tutt’altro che strano: basti pensare che, appena nasciamo, siamo già figli di qualcuno, veniamo già in qualche modo plasmati dal nostro pur inconsapevole e involontario essere con gli altri. È il volto della madre a dare serenità interiore al neonato, non la sua serenità interiore “congenita” a tranquillizzarlo. È a partire dagli altri che stabiliamo la nostra identità e la nostra autostima (come ben sanno quei trentenni single e disoccupati di oggi, che mostrano una fragilità simile proprio a quella degli adolescenti). Non siamo noi a conferire a noi stessi il nostro “star bene”, ma gli altri. All because of you I am, cantavano gli U2 qualche anno fa: tutto ciò che sono, lo devo a te.
Lo slogan dello star bene con se stessi, preso da solo, può essere utile a vendere servizi individuali come la chirurgia estetica o dei corsi di meditazione; tuttavia, il benessere (lo “star bene”) degli altri dipenderà ben di più da quanto sapremo prenderci cura di loro. Con buona pace della Thatcher, la società esiste. E oggi ne abbiamo più bisogno che mai.
(«Il Caffè», 15 maggio 2009)