venerdì 29 maggio 2009

Giustizia e dignità

All’inizio del secolo scorso, un tale comparve in giudizio davanti a un tribunale americano, con l’accusa di aver assassinato suo nonno al fine di ottenerne l’eredità. Il tribunale, pur di fronte all’ineccepibile evidenza che l’interpretazione letterale della legge che regola la successione attribuiva senza dubbio l’eredità all’omicida, non di meno negò a quest’ultimo la proprietà, in quanto «“a nessuno sarà permesso di trarre profitto dalla propria frode, o di trarre vantaggio dal suo illecito, o di fondare una pretesa sul suo comportamento iniquo, o di acquisire una proprietà per mezzo di un delitto”» (Il certo alla prova del vero, il vero alla prova del certo, p. 28).
Giuseppe Limone, docente di filosofia politica presso la Seconda Università di Napoli e curatore del libro appena citato, sfrutta l’aneddoto per mettere a fuoco il rapporto fra il diritto e i suoi valori fondanti, la certezza e l’equità. Ben poca cosa è infatti il diritto senza certezza: a nulla vale un’ottima teoria se la sua traduzione nella pratica non è al contempo fedele ed efficace. Ma non è tutto qui, perché «in realtà un tale valore non basta. C’è infatti un valore più alto e radicale, che “eccede” una tale “certezza”. Tale valore è l’“equità”» (p. 26). Allo stesso modo, l’equità ricorda al diritto il suo fine “metapositivo”: quello cioè di essere per il bene dell’uomo e della società, non per un rispetto pedissequo e formale della norma.

La sola certezza del diritto non è sufficiente. Occorre un altro valore, più alto e radicale, che la eccede: l’equità.
G. LIMONE (A CURA DI), Il certo alla prova del vero, il vero alla prova del certo, ed. Franco Angeli

Può sembrare chiaro, forse addirittura scontato. Eppure in molti ricorderanno il recente caso di Helg Sgarbi, gigolò svizzero che adescava signore della ricca borghesia europea per poi estorcere loro grosse somme di denaro dietro la minaccia della pubblicazione di video osé. L’ultima sua scelleratezza, prima dell’arresto, compiuta ai danni di Susanne Klatten, erede della famiglia Quandt, proprietaria della casa automobilistica BMW, alla quale ha sottratto più di sette milioni di euro. In udienza – alla fine della quale è stato condannato a sei anni di carcere – Sgarbi ha reso una confessione piena, chiedendo perfino scusa alle vittime. Tuttavia, si è rifiutato di confessare sia la destinazione dei soldi estorti sia il nascondiglio dei video con cui operava i ricatti. Di conseguenza, alla fine del periodo di detenzione, non solo Sgarbi potrà godersi allegramente i “proventi” della sua illecita e vergognosa attività, ma potrà addirittura riprendere il lavoro proprio dove l’ha lasciato.
Non è il primo caso del genere cui ci capita in sorte di assistere. Quanti di noi, per rimanere nell’ambito delle cose di casa nostra, non hanno percepito come un’ingiustizia il proscioglimento per prescrizione di certi illustri esponenti della politica, accusati di reati come quelli di corruzione e falso in bilancio? E quanti non hanno subìto come un’indegnità le susseguenti proclamazioni che paragonavano ogni prescrizione ad una “assoluzione”? Quando giustizia e diritto si saranno, un giorno, incontrati, potremo finalmente cominciare a parlare di dignità e di decenza.

(«Il Caffè», 22 maggio 2009)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano