giovedì 16 aprile 2009

Verso una mistica della scienza?


Intervista a Jaume Agusti, fisico catalano ed esperto di intelligenza artificiale. Venezia, 5 maggio 2008

Dr. Agusti, Panikkar sembra spesso parlare in termini “poco scientifici” o almeno arditi, a proposito ad esempio della libertà della materia o della Terra come essere vivente. Lei crede che la visione metafisica proposta da Panikkar sia incompatibile con quella della scienza moderna?
Panikkar viene compreso con difficoltà non solo tra gli scienziati, ma anche tra i filosofi, perché in qualche modo la sua critica alla scienza e alla tecnologia lo fa sembrare “retrogrado” (come ha scritto J. Prabhu in un importante articolo sull’argomento). L’impostazione di Panikkar non è incompatibile con la scienza, ma appare “medievale”, con la sua pretesa di un contatto immediato con la realtà, mentre noi siamo abituati ad avvicinarci alla realtà esclusivamente tramite la mediazione del concetto (cosa dalla quale, dopo Hegel, si ritiene di non poter prescindere). Ciò non perché sia realmente indispensabile, ma perché siamo abituati a controllare le cose, mentre nel contatto immediato la realtà si dà spontaneamente, gratuitamente e anche in maniera imprevedibile. È questa la difficoltà principale che Panikkar incontra non solo tra gli scienziati, ma anche tra certi filosofi.
Per lo scienziato, la mediazione è lo strumento, l’esperimento; Panikkar sembra, da questo punto di vista, quasi vivere in un altro mondo. Ma io non credo che le cose stiano così. Io credo invece che dovremmo fare il cammino inverso, dall’esperimento all’esperienza, fare un’esperienza completa che includa quella della vita quotidiana. Il risultato che otteniamo con l’esperimento è efficace, in quanto ci permette il controllo, ma non è “vero”, perché esso scaturisce da una violenza commessa nei confronti della realtà, assomiglia un po’ a una confessione estorta sotto tortura. Credo che la creatività sia la chiave per l’esercizio di una scienza libera dalla violenza (e che rispetti perciò anche la libertà propria della natura, che possiamo osservare ad esempio nelle relazioni non causali tra particelle subatomiche).

La Sua è una posizione minoritaria; la scienza tende al contrario a diventare sempre più indipendente dall’uomo, a basarsi su di una razionalità astratta applicata ad attività che, al limite, anche un computer può essere in grado di svolgere.
Ma qualche passo lo si sta pur facendo in direzione di quella che io chiamo “mistica della scienza”, non nel senso dell’introduzione di un elemento irrazionale bensì nel senso del rispetto della natura osservata, fondato sulla consapevolezza dell’appartenenza alla stessa realtà. Uno scienziato che coltivi la mistica in questo senso, soffre nel lavorare facendo continuamente violenza alla natura, sente il bisogno di rispettarla e di indirizzare altrove la sua creatività. Questo scienziato soffre della mancanza di libertà propria e dei propri colleghi costretti a lavorare sotto pressione in vista di un determinato risultato caro agli sponsor (cosa tanto più evidente nel caso ad esempio dei progetti militari, i più ricchi di finanziamenti, dove la pressione verso il fine e l’opera eminentemente contraria all’uomo e alla natura si uniscono). Questo è un problema che riguarda tutti quelli che fanno scienza: non siamo più ai tempi di Galileo, il quale poteva fabbricarsi in casa gli strumenti della sua scienza; oggi la scienza è diventata costosissima e complicatissimi sono diventati gli esperimenti. La mistica è qualcosa che riguarda tutti e non qualche sparuto “esaltato”. Mistica e scienza non sono affatto due ambiti incompatibili e nemmeno soltanto separati: l’uomo – in particolare l’uomo di scienza – può essere mistico, può attingere a una visione più profonda, olistica della realtà, che indirizzi il suo comportamento, in laboratorio come al di fuori. E anzi, io dico, non solo lo può, ma lo deve.

Panikkar ha detto qualche volta che la scienza non è neutrale. Cosa ne pensa?
(sorride) Chi sostiene che la scienza è neutrale ha una visione astratta della scienza. Come astrazione, come disciplina settoriale, può anche essere neutrale. Ma come realtà, come ciò che la scienza è realmente, di fatto, non lo è. La scienza è una realtà, che si trasforma continuamente nel tempo come nello spazio. Le equazioni utilizzate qui a Venezia sono le stesse che si utilizzano a Nuova Delhi; ma, nei fatti, la scienza che si fa a Nuova Delhi non è la stessa che si fa a Venezia. Chi vede la scienza dall’esterno può avere l’impressione che si tratti di un monolite, di un blocco unico, di un insieme omogeneo. Ma chi fa scienza, chi la vive dall’interno, chi contribuisce alla sua formazione, sa che non è così. La scienza risente di tutti i fattori di cui risentono gli uomini che la fanno: culturali, sociali, personali. Perfino geografici e climatici. Nulla è ininfluente.
La scienza non è neutrale. Dire che è neutrale è il modo migliore per risparmiare a se stessi la fatica di assumerne la complessità e la multiformità. L’esperienza diretta della scienza è proprio l’esperienza che la scienza non è neutrale; l’uomo di scienza lo sa bene. Il problema è piuttosto un altro: che chi fa scienza di solito non si preoccupa di stabilire “che cosa è scienza”. «Non è un problema scientifico», si dice. Forse, mi auguro sovente, il singolo si pone la domanda a livello personale, ma non come scienziato: i due ambiti sono sempre tenuti separati (all’interno della stessa persona!). Questo è proprio ciò a cui cerco di porre rimedio nel mio Istituto di ricerca scientifica; cerco di sanare questa lacerazione del singolo a partire dal fatto che fare scienza non è semplicemente svolgere un’attività professionale come un’altra, ma è un modo di essere, un modo di vivere, uno “stile di vita”, per dirla con Panikkar.
Chi fa scienza deve aprirsi alla totalità del reale, con tutte le ricadute che ciò comporta sul metodo e sul suo stesso modo di essere uomo di scienza (che è un modo particolare di essere uomo, non una cosa distinta). È chiaro che il metodo ha bisogno di procedere per astrazioni, questo è inevitabile e neanche biasimevole. Ma non c’è particolare senza il generale. Lo scienziato deve tenerlo bene a mente e indirizzare sempre la sua ricerca alla cura del tutto. Proprio come il filosofo.

(«l’Altrapagina», n. 9, settembre 2008, pp. 28-29)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano