È tutt’altro che una lettura serale quest’ultimo libro di Umberto Soncini, Il senso del fondamento in Hegel e Severino, edito da Marietti nella collana “I piccoli kaladrî”, patrocinata dall’Istituto Filosofico di Studi Tomistici di Modena. Con una argomentazione serrata e puntuale l’autore si propone l’audace obiettivo di illustrare in quale modo il monismo neoparmenideo severiniano costituisca un “guadagno speculativo” rispetto al panlogismo hegeliano considerato nella sua globalità, invischiato «suo malgrado, in una dimensione di insolubile aporeticità» (p. 19).
Soncini, pur consapevole che «il testo hegeliano interessa più ai fini dello sfruttamento teoretico che della ricostruzione storica» (p. 251; l’autore cita da E. Severino, La struttura originaria, Adelphi, Milano 1981, p. 47; cfr. cap. VI, n. 25), non rinuncia
a prendersi tutto lo spazio necessario a fare l’una e l’altra cosa: consegnandoci in tal modo uno studio di oltre 380 pagine in cui la parte storico-critica non risulta deficitaria rispetto a quella teoretica, e la cui esposizione affonda saldamente le radici nei testi trattati.
Il libro si articola in due parti. La prima, che occupa più della metà del saggio, è dedicata alla presentazione storico-critica della filosofia di Hegel; essa illustra l’evolversi del pensiero del filosofo tedesco tra il periodo francofortese e l’Enciclopedia delle scienza filosofiche in compendio, passando per gli scritti di Jena, ed approda alla conclusione che «la scansione storico-critica, che è stata effettuata in diversi periodi e fasi nei confronti di tale pensiero, deve essere subordinata alla visione di tale pensiero come unità teoretica, nella prospettiva della continuità, pur nella consapevolezza degli arricchimenti critici di senso che trovano il proprio culmine nella maturità filosofica di Hegel rappresentata dalla Scienza della logica e dalla Enciclopedia delle scienza filosofiche in compendio, opere alla luce delle quali deve essere guardata retrospettivamente tutta la sua precedente produzione filosofica» (p. 211). La seconda parte si concentra invece sull’analisi del pensiero di Severino, nel corso della quale Soncini mantiene un costante riferimento alla trattazione del pensiero di Hegel della parte precedente. La conclusione dell’autore è quella anticipata all’inizio: la filosofia di Severino costituisce «un sensibile guadagno speculativo rispetto al panlogismo hegeliano, con il suo carattere intrascendibilmente aporetico che lo caratterizza sul proprio stesso terreno dell’hegelismo» (p. 378).
Il libro non è esente da qualche imperfezione: ad esempio che la densità dell’argomentare ed il suo incedere lento non facilitano al lettore il compito di seguire il flusso dell’articolato e complesso discorso: un pizzico di vivacità in più avrebbe giovato. Per altro verso, è vero che Soncini non prende qui la minima distanza dal discorso severiniano; è pur vero però che questo atteggiamento “entusiastico”, non è mai né acritico né furoreggiante, rimanendo sempre pacato e ben aderente sia alla lettera sia allo spirito del filosofo bresciano (il quale nella prefazione, a sua volta entusiastica, rileva “la consonanza del saggio di Soncini ai suoi scritti”, conferendo così un ulteriore e insostituibile suggello di “validità” al contenuto).
Si può forse essere in disaccordo circa le conclusioni dell’autore, ma non si può certo affermare che il libro non sia frutto di un lavoro sistematico, meticoloso e ben meditato: Soncini si muove con scioltezza e a suo perfetto agio all’interno dell’ampia bibliografia di Hegel e di Severino selezionata. Bibliografia che non si limita ai due autori studiati ma che si arricchisce di molti altri contributi: ciò che è attestato anche dal fatto che l’ultimo capitolo è interamente dedicato all’esame della letteratura critica sul rapporto tra Hegel e Severino. Per cui si può realmente affermare che si tratti di un ottimo lavoro. Il tutto in una distinta edizione a filo, dalla buona leggibilità, tipica dell’editrice genovese. Un libro che, tra gli studi severiniani, è con ogni probabilità destinato a restare.
(«Filosofia.it» online, ISSN 1722-9782, ottobre 2008)
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