Dire Ron Hubbard è dire Dianetics. Ma forse non è ancora dire abbastanza. Perché Ron Hubbard - e Dianetics, libro pubblicato a metà del secolo scorso - vogliono dire “Scientology”. Che non si saprebbe definire con precisione: una organizzazione religiosa (o forse meglio “parareligiosa”)? Si potrebbe ritenere di sì, visto che agli adepti si richiede di credere che dentro ogni essere umano si conservi lo spirito di un alieno deportato sul pianeta Terra svariati milioni di anni fa, per mano di un’entità galattica che risponderebbe al nome di Xenu… Eppure, nonostante il fondatore avesse dichiarato ai suoi collaboratori “mi piacerebbe fondare una religione” (secondo il monito, rivelato dal figlio Ron Hubbard jr., a tener sempre bene a mente che “per diventare milionari bisogna fondare una religione”) l’immagine che Scientology tiene a mostrare al meglio è quella di una specie di scuola, grazie alla quale (grazie cioè a tutto ciò che vi viene insegnato) è possibile conoscere le potenzialità della propria mente e utilizzarle al meglio (e grazie, anche alla tecnologia che vi si usa, come la “macchina della verità in grado di liberare la mente dalle masse che bloccano il flusso dell'energia”). Scienza o fede, insomma?
A questa e a tante altre domande sulla natura e sull’operato di Scientology - organizzazione diffusa a livello planetario, che dispone di mezzi economici impressionanti e vanta, come noto, testimonial del calibro di Tom Cruise e John Travolta - prova a rispondere nel suo eccellente saggio La prigione della fede (eloquente fin dal titolo), appena edito da Adelphi, il giornalista Premio Pulitzer Lawrence Wright. E lo fa documentando con precisione manichea gli usi e gli abusi che l’organizzazione mette in campo contro chi la abbandona o le si mette contro, ma anche e soprattutto contro chi intende farne parte; e le prassi con le quali Scientology ha accresciuto la propria diffusione e il proprio potere tranne specifici programmi di infiltrazione di suoi uomini presso gli uffici di tutti i governi ai quali è riuscita ad arrivare. Il reportage - cauto ma netto - si basa su una caterva di materiali bibliografici (dove le notizie sono spesso accompagnate dai legali di parte, che si affrettano a smentire questa o quella affermazione; Scientology ha un grosso staff di legali alle spalle, anche perché se ne è dovuta servire in occasione delle tante cause intentate per “lavaggio del cervello”, “abusi psicologici nei confronti di persone fragili”, sfruttamento, maltrattamento...) e di interviste a chi è stato all’interno di Scientology (o ne fa ancora parte). Wright fa il punto della situazione sulla questione “Scientology” e lo fa nella maniera migliore: lasciando cioè che il lettore si faccia un’idea propria, a partire dai materiali offerti e pubblicati. Un po’ di sana conoscenza, che sgombri il campo da tanta disinformazione (quando non mistificazione).
Lawrence Wright, La prigione della fede, ed. Adelphi, 2016, pp. 530, euro 28.
(«Pagina3», 1 luglio 2016)
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