martedì 12 gennaio 2016
Bendetto Croce, Storie e leggende napoletane, ed. Adelphi, 1990 (IX ed. 2013)
Nella Napoli antica i ragazzini non giocavano ancora con il pallone, ma amavano starsene a mare, anche tutta la giornata. Cola (Nicola, o Niccolò) non era da meno; anzi, di più: lui era capace - come i pesci - di starsene sott’acqua anche per ore senza riprender fiato. L’avidità e la curiosità dell’uomo, tuttavia, possono corrompere anche la più grande delle meraviglie: e quando il re chiede a Cola Pesce di spingersi fino in fondo al mare “per vedere se ce la fa”, lui sente che questa potrebbe essere la sua ultima immersione… La regina Giovanna aveva una pessima reputazione: quella di donna insaziabile e crudele, che faceva uccidere i suoi amanti al termine della notte. Di lei parlano (e sparlano) i cronisti dell’epoca, ma anche e soprattutto le fosse, i trabocchetti, i ruderi, le torri che hanno visto tanti e tanti uomini precipitare urlando nel vuoto… Si narra che Alfonso d’Aragona sia entrato in Napoli con il suo esercito attraverso un cunicolo sotterraneo additato da due muratori, uscendo da una bocca di pozzo nei pressi della chiesa di Santa Sofia: ma forse è qualcosa di più di una leggenda, e qualcuno oggi sostiene di sapere dove si trovi quella strada...
A volte un libro nasce in epoche diverse, componendosi di materiali eterogenei provenienti da circostanze e ispirazioni che possono sembrare - o sono davvero - affatto prive di legame. In quelle occasioni si può avere l’impressione che i libro sia nato “per caso”, o come conseguenza di un accumulo di pagine che solo alla fine riesce a trovare un ordine. Non è il caso di questo classico che - nonostante risponda a più d’una di quelle caratteristiche - ha una inscindibile unità di fondo che lo rende prezioso, se non unico: l’amore per la città di Napoli, saldato a una grande conoscenza delle sue tante eloquenti bellezze. Ma Croce non cede alla tentazione della celebrazione didascalica e alla fin fine stereotipata, spingendosi invece in una elaborazione tutta personale, garbatamente erudita (mai saccente né pedante), che dà luce nuova a cose che pur erano note da secoli (come nella sue interpretazione della novella boccaccesca di Andreuccio da Perugia, ambientata nel capoluogo partenopeo, inizialmente presentata in forma di conferenza presso la Società napoletana di Storia patria, nel marzo del 1911). Qui l’intellettuale (non ancora antifascista, se non in pectore) torna alle origini della sua formazione: il filologo fa un passo in avanti, lasciandosi alle spalle - ma solo un po’ - il filosofo hegeliano e l’attivista politico (suo malgrado). Con un esito innegabilmente eccellente.
Bendetto Croce, Storie e leggende napoletane, ed. Adelphi, 1990 (IX ed. 2013).
(«Mangialibri», 12 gennaio 2016)
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