Che bello Il deserto è la mia cattedrale, di Claude Rault (ed. EMI), vescovo in terra africana dal 2004. Non solo per la dotta e accurata ricostruzione storica delle vicende di un Paese che ha visto in rapida successione la colonizzazione, l’emancipazione, il fondamentalismo, la primavera araba - basata sulla conoscenza di prima mano che l’autore ha avuto occasione di maturare nel corso della sua lunghissima permanenza in loco, fin dal 1970; ma soprattutto per la vivida restituzione all’immediatezza di ogni cosa: nel suo racconto - come nel suo apostolato - il Vangelo riprende ad essere una “buona novella” anziché un compendio di teologia; la condivisione è di nuovo qualcosa di evidente e spontaneo, piuttosto che un comandamento difficile da realizzare, in una società fondata rigidamente (e, si vorrebbe dire, “moralmente”) sulla proprietà; la fede riprende finalmente torna quale ricerca ed itinerario, basato su un confronto serrato e attuale, invece di figurare come una specie di “ricettario di credenze” di cui ben pochi possono ricordare - e apprezzare - il senso.
Una chiesa che resiste, con pazienza e accoglienza, alla pressione dell’islam, da un lato; a quella diversa ma non meno forte del deserto, dall’altro. Che mostra la possibilità e la bellezza (e, forse, anche la necessità) di essere, oggi, il sale del mondo: senza la velleità insensata di trasformare tutto in sale (à la Re Mida), ma per dare più sapore a ogni cosa. Un libro che è a un tempo un reportage, un invito, una preghiera. Consigliato a tutti, in questi tempi in cui l’audience è contesa dalla povertà spirituale e dalla grettezza politica.
(«Il Caffè», 30 ottobre 2015)
