È Panikkar a imboccare quest’ultima via, proprio all’inizio del suo intervento, ponendo in evidenza che una riflessione sullo stesso “Dio” non può che presupporre la riflessione su cosa sia lo “stesso”; producendosi così in un suo movimento tipico, che radica la teologia nell’ontologia (cioè nell’interrogazione sulla cosa in sé e su quel tremendo errore di prospettiva che Panikkar ha spesso stigmatizzato con il nome di “criptokantismo”). Da qui prende le mosse un comune discorso su Dio visto non come una sostanza statica, bensì come un orizzonte libero e sempre nuovo della relazione con l’uomo: Dio è nell’evento.
Temi portanti dell’appassionato dibattito sono la centralità dell’uomo, il valore dell’esperienza, la domanda sul male. Alle pp. 23-24 si trova la celebre affermazione (che Panikkar ha espresso sovente di persona, ma di rado nei suoi scritti) che “tutto ciò che affonda, converge” (punto di convergenza che tuttavia non dovrebbe indurre ad errate e fuorvianti considerazioni sull’esistenza di un “universale”: non c’è nulla di “universale” nella filosofia di Panikkar). Apice del dibattito è la mancanza di autosufficienza di ogni religione, ancor oggi assurdamente scandalosa per molti cristiani intrappolati in obsolete rivendicazioni di esclusività e di completezza.
“L’incontro delle religioni è indispensabile” ci dice questo libro, e sembra quasi di sentirsene il fardello sulle spalle; “esso però è possibile” ci dice pure, confortandoci. Se la teologia e la filosofia (in specie l’ontologia) avranno il coraggio di procedere a braccetto sulla via dell’incontro (fuori da logiche assolutistiche e microdossiche, come quelle che - secondo la moda dei “nuovi realismi” - pretendono per sé sole la verità e l’oggettività), nulla potrà impedire alle religioni di aprire all’umanità una nuova era di speranza e di pace.
R. Panikkar, P. Lapide, Parliamo dello stesso Dio?, ed. Jaca Book, 2014, pp. 85, euro 12.
(«Pagina3», 5 marzo 2014; «l'Altrapagina», marzo 2014; «AgoraVox», 20 marzo 2014)
