Marco Rossi-Doria - insegnante della scuola primaria, politico e “maestro di strada” - è stato sottosegretario all’istruzione dal 2011 al 2014 nei governi Monti e Letta. Membro del Movimento di cooperazione educativa, è autore del volume Di mestiere faccio il maestro (ed. L’àncora del Mediterraneo). L'abbiamo ascoltato a proposito del pensiero del maestro Mario Lodi, appena scomparso.
Mario Lodi: un uomo, un insegnante, un esempio. Possiamo dire: “unico”?
Dire “unico” è forse eccessivo, perché Mario Lodi faceva parte di un gruppo di insegnanti che dopo la Seconda guerra mondiale hanno portato in Italia il pensiero di Celestine Freinet e della “scuola popolare”, già allora molto affermato in Francia, che si basava su una pedagogia e una didattica laboratoriali, il cosiddetto “metodo attivo”. Furono tanti i portatori di questa prospettiva in Italia, grazie ai quali si fondò il Movimento di cooperazione educativa (MCE), di cui Mario Lodi fu certamente uno dei principali esponenti. Si trattò dunque non dell’ispirazione di un singolo, ma di una linea educativa - fatta non solo di modelli pedagogici ma anche di politiche pubbliche in favore dell’educazione dei bambini nella scuola - ben più ampia, riconducibile peraltro a Dewey, figura che giganteggia in quest’ambito.In cosa consiste la novità di Mario Lodi?
Direi nella chiarezza con cui intendeva portare l’insegnamento su di un piano realmente universale, cioè anche nei quartieri periferici delle città e fin nelle più remote zone rurali del Paese. Affinché tutti - braccianti, operai, bottegai, casalinghe ecc. - potessero accedere alla conoscenza, come la Costituzione suggerisce e impone.E in cosa sta la sua attualità?
Soprattutto in una didattica non verticale, che pretenda di passare le conoscenze in linea retta da un maestro a degli allievi, bensì circolare, dove gli alunni si istruiscano a vicenda - guidati dal maestro - tramite l’esperienza e il lavoro comune. È il gruppo la forza dell’apprendimento, non l’insegnamento: questa è la grande novità - ancora fortemente attuale - che Mario Lodi ci ha insegnato.Il metodo di Mario Lodi punta a formare l’insegnante contestualmente agli alunni. Che significa?
Significa che quando si impara in maniera cooperativa e si forma un gruppo di insegnanti, la formazione non consiste nello spiegare in teoria come si dovrebbe procedere nell’insegnamento, ma nel condividere in pratica l’esperienza che quegli insegnanti ripeteranno poi insieme ai loro alunni. È un metodo di apprendimento basato sulla pratica - in altri casi sull’osservazione, anche reciproca - che insegna agli insegnanti a trasmettere genuinamente le conoscenze che hanno, a partire dalla loro propria esperienza. Ciò senza che venga meno la necessaria riflessione critica (supportata dalla scienza e dalla teoria), che porta ad approfondire e a verificare personalmente le proposta pedagogiche.Quindi al centro abbiamo da un lato la creatività e dall’altro l’esperienza.
La creatività, l’esperienza e poi senz’altro - lo ribadisco - la teoria, perché è chiaro che dietro questi “dispositivi pratici” c’è la riflessione della psicologia, delle scienza cognitive ecc.Cosa rimane di Mario Lodi nella scuola italiana di oggi?
Io direi che l’insegnamento di Mario Lodi è penetrato nella scuola italiana in almeno due sensi: in un primo senso questa pedagogia ha informato le indicazioni che il Ministero dell’istruzione dà ancor oggi a tutta la scuola italiana; possiamo dunque dire che il messaggio ha messo a tal punto radici da diventare il fondamento delle direttive pedagogiche della Repubblica. Poi - e qui vengo al secondo punto - ci sono tutti quegli insegnanti che hanno tratto e continuano a trarre giovamento dall’insegnamento di Mario Lodi e dall’esperienza di MCE, fermamente intenzionati a portarne avanti il messaggio.È ancora sostenibile la sua critica radicale alla televisione?
La critica di Mario Lodi alla televisione si è sviluppata in due fasi: nel primo periodo della televisione, quando non era ancora così invadente, egli rimase possibilista nei confronti di un mezzo - del quale criticava alcuni aspetti, ma in maniera soft - che poteva offrire prospettive educative nuove e accessibili a tutti. Quando la televisione diventò invece quella che conosciamo oggi, divenne subito molto critico, e quello che è interessante è che la sua critica - espressa nel suo libro sulla televisione [La TV a capotavola, N.d.R.] - investì in maniera effettivamente radicale non solo i bambini, ma anche gli adulti, ai quali la televisione rischiava di sottrarre tempo prezioso per l’osservazione, per la riflessione, per le relazioni… in cambio di poco o nulla. Tuttavia vorrei chiudere questa riflessione sulla televisione con uno spunto, diciamo così, più ottimista: i ragazzi di oggi - tanto gli adolescenti quanto gli ultraventenni - hanno imparato ad usufruire della televisione in maniera più ponderata, più attenta, più attiva rispetto alla generazione precedente, anche perché il loro apprendimento si alimenta in buona parte in rete (la quale a sua volta, lo sappiamo bene, non è esente da rischi). Credo quindi che l’immagine del tubo catodico come di qualcosa che spinge alla passività e all’annichilazione mentale… sia qualcosa d’altri tempi. Per essere più chiaro: non credo che si debba osannare la rete contro la televisione, perché ognuna mantiene in sé pregi e difetti, vantaggi e rischi. D’altro canto, ci saranno sempre battaglie da compiere in un senso o nell’altro; mi sembra semplicemente di poter cogliere una maggior luciadità e consapevolezza nell’uso che le nuove generazioni fanno del mezzo televisivo.Quale parte del pensiero di Mario Lodi non è ancora stata recepita?
Non credo che ci sia qualche “parte” del discorso del professore che sia rimasta accantonata, misconosciuta o fraintesa del tutto. Direi piuttosto che - data la complessità e la ricchezza della sua opera, ma soprattutto dato che la parte maggiore (e migliore) del suo insegnamento ce l’ha data nell’esperienza che ci ha indotti a effettuare personalmente - parlerei piuttosto di quegli aspetti che emergono di più in una data epoca, un dato contesto o discorso, mentre altri rimasti in ombra magari per tanto tempo vengono fuori di nuovo all’improvviso. Mario Lodi resta per noi una continua riscoperta.(«Pagina3», 29 marzo 2014; «AgoraVox», 9 aprile 2014; «Il Caffè», 9 maggio 2014)