«La tendenza delle bolle speculative a gonfiarsi e poi a contrarsi può causare una distribuzione molto sbilanciata della ricchezza [...] I piccoli investitori, le fondazioni, i fondi di dotazione delle Università [...] si ritroverebbero più poveri, complessivamente, di migliaia di miliardi di dollari».
Facile a dirsi, oggi. In realtà era facile anche all’indomani della pubblicazione di Euforia irrazionale, di Robert J. Shiller (ed. Il Mulino; ne abbiamo parlato la volta scorsa): gli studi erano già consolidati e bastava non essere dei dogmatici dei “mercati efficienti” per rendersene conto. Non era difficile, dunque; ma era audace, perché chi la pensasse così si sarebbe ritrovato da solo a gridare nel deserto, con tutti gli altri a gridargli contro.
Ora, che il sistema finanziario così com’è non funzioni, è cosa chiara anche alle pietre. Quello che non è chiaro è il senso diffuso di rassegnazione che pare attanagliare tanti economisti - dai giornali alla tv - per i quali pare che non ci sia nient’altro da fare che tenersi le cose così come sono. Con una specie di fatalismo spacciato per buon senso, che vorrebbe far credere all’economia come a qualcosa di inalterabile in ogni caso, qualcosa di paragonabile a una “legge divina”, o “di natura”. Ma l’economia non è paragonabile a nessuna delle due: in particolare non lo è il capitalismo finanziario (autore della crisi di cui parliamo da anni), che, al contrario, «è un’invenzione, e il processo di invenzione non si è ancora concluso». Così Shiller riprende le riflessioni del suo libro precedente, citato in apertura, e le spinge oltre nel suo ultimo Finanza e società giusta (ed. Il Mulino). In cui sviluppa - con il consueto stile puntuale ma accessibile a tutti - che sì, è vero, la finanza sembra remare contro ogni progetto di una società “giusta” (almeno per quanto riguarda la distribuzione della ricchezza); ma che è altrettanto vero che essa è indispendsabile alla realizzazione di una simile società.
Come fare allora ad uscire dall’impasse? Per Shiller la finanza non va abolita, ma rivisitata fino alle radici e rifondata in quello che deve essere - dichiaratamente e fermamente - il suo obiettivo principe: essere uno strumento al servizio del benessere di tutti gli uomini. In aperta polemica con i radicali (nel volume vengono così indicati, secondo la tradizione culturale d’oltreoceano, quelli della sinistra estrema, rivoluzionaria e intransigente) Shiller crede nella possibilità di una “democratizzazione” del capitalismo, nel senso di una evoluzione verso il meglio: la finanza non va soppressa, ma diffusa a tutte le classi sociali e, con essa, la prosperità.
Si può essere più o meno d’accordo con questa idea di “capitalismo etico” (e più o meno scettici al riguardo), ma il dato è chiaro e di primaria importanza: il futuro del capitalismo, in specie quello finanziario, qualunque esso sia, passa necessariamente per l’attenzione alle esigenze reali dell’umanità. L’uomo viene prima dei soldi. Per adesso la crisi la pago io. Ma se queste sono le prospettive, una volta tanto, ne sarà valsa la pena.
(«Il Caffè», 10 gennaio 2014)
sabato 11 gennaio 2014
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