Insomma, si crea l’attesa; ma al di là dell’emozione per l’evento, resta il fatto che l’ultima prova narrativa di Cappellani - Sull’Etna non uccidono mai nessuno, ed. Imprimatur - è deludente. E il paradosso è che non è tanto quello che ti aspetti a deluderti, ma quello che non ti aspetti: un po’ i refusi e la forma grezza di certi passaggi (dove lo stesso termine si ripete due, anche tre volte in poche righe), che fanno pensare che le bozze non siano state rilette. Un po’ non ci si aspetta un pleonasmo come “grosso casermone” o una descrizione vaga come «in questo momento sembra il capitano Achab» (e cioè?), o ancora espressioni come «Ho chiamato a Caterina» (che volendo ricondurre al modo di parlare tipico del personaggio, invece che a una svista dell’autore, avrebbero richiesto una caratterizzazione più precisa e omogenea).
D’altro canto la semplicità della trama non impedisce che la lettura sia godibile e a tratti perfino intrigante (imperdonabile tuttavia che il caso venga risolto dal protagonista investigatore nell’ambito di una mezz’ora di ricerca… in internet). Sullo sfondo (peccato: il tema è attuale e meriterebbe uno spazio ben più ampio, a tutti i livelli della discussione) la borghesia parassitaria e annoiata la cui assuefazione all’eccesso conduce all’orrore e alla follia.
Un giallo senza pretese, insomma, ambientato tra i boschi e le strade dell’Etna, ma anche tra i servizi segreti, la mafia e l’amore per una Sicilia generosa e violentata, dove la magia dei miti classici si fonde con quella che l’uomo cerca ad ogni costo di piegare ai suoi desideri malvagi.
O. Cappellani, Sull'Etna non uccidono mai nessuno, ed. Imprimatur, 2013, pp. 144, euro 14,50.
(«Pagina3», 26 novembre 2013; «AgoraVox», 7 dicembre 2013)
