sabato 23 novembre 2013
Grammatica dell’indignazione
Cresce l’indignazione fra gli italiani. Detta così sembra una cosa generica e qualunque, vera quanto il suo contrario. Certo, i risultati delle ultime politiche sembrano eloquenti al riguardo; ma di che stiamo parlando esattamente? Del fatto che sempre più cittadini si sentano esclusi dalla vita pubblica, privati della possibilità di dare un orientamento al proprio futuro da un sistema politico che negli ultimi decenni ha sdoganato sempre più l’idea che solo chi “appartiene” al potere riuscirà a cavarsela? È unicamente questo (come se non bastasse)?
In realtà c’è di più, e sono i numeri a dirlo: nell’arco di un solo anno, dal 2011 al 2012, il numero delle persone in condizioni di povertà assoluta è aumentato dal 5,2% al 7,9% (cioè da 3 milioni e mezzo a quasi 5 milioni). Similmente, è aumentata di due punti la percentuale delle persone in condizioni di povertà relativa (cioè quelle con una disponibilità mensile inferiore a 506 euro). Al contempo, cresce la cosiddetta “area di vulnerabilità” (di coloro cioè che non possono far fronte, nell’arco dell’anno, a una spesa imprevista di 750 euro) e aumenta la disuguaglianza (nel 2009 Sergio Marchionne, a.d. di FIAT, ha percepito un compenso di euro 4.782.000, pari a 435 volte il reddito di un operaio di Pomigliano D’Arco - ha guadagnato cioè più lui in un giorno che un operaio in tutto l’anno).
Siamo dunque di fronte a un’indignazione razionale che corrisponde a un degrado di fatto, non solo “percepito”, come si dice. La quale, tuttavia, rischia di trovare solo sbocchi isterici ed effimeri, mentre avrebbe bisogno di venir incanalata nell’alveo di un’organizzazione che le permetta di farsi proposta e azione politica e sociale. A questo obiettivo offre un contributo il libro Grammatica dell’indignazione (ed. Gruppo Abele), curato da Livio Pepino e Marco Revelli, che affronta tematicamente le questioni aperte e formula proposte nette e chiare, a disposizione di una politica che voglia dotare di senso (o, quanto meno, di un elemento di distinzione) il proprio programma, dalla lotta alla corruzione e all’evasione al ripristino delle tutele fondamentali dei lavoratori, dall’abolizione delle leggi ad personam al conflitto di interessi e all’imposizione di un tetto per i compensi pubblici e privati. Sullo sfondo l’Europa, gli armanenti, la politica fiscale, tutti temi trattati analiticamente dai tanti esperti che prestano al volume la propria competenza (tra i quali Guido Viale, Stefano Rodotà, Salvatore Settis, Luciano Gallino, Nando Dalla Chiesa).
Grammatica dell’indignazione cerca così di rispondere all’eterna domanda “Che fare?” senza giri di parole e senza mezzi termini, con la consapevolezza che questo sistema politico-economico non può essere né protratto né rigenerato e che un cambiamento efficace deve necessariamente passare per una discontinuità profonda di prassi e comportamenti. Il succo del discorso, sostengono gli autori, è che non si può veramente ricominciare se prima non si è in grado di finire. Capire questo, è già aver fatto metà strada.
(«Il Caffè», 22 novembre 2013)
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