sabato 14 settembre 2013

Il teorema del lampione

Sulla “Settimana Enigmistica” di un paio di settimane fa c’era una gustosa vignetta: il marito, in giacca e cravatta, entra nella caverna nella quale la moglie sta cucinando a terra su un fuoco a legna e le dice “fino a quando continuerai a guardare solo ai risultati pratici, non riuscirai mai ad apprezzare la bellezza della mia teoria economica!”. Sintetica e disarmante: siamo così avvinti dai dogmi del capitalismo che, nonostante i tanti disastri provocati dalla crisi degli ultimi 5 anni (e già: sono passati 5 anni), non riusciamo a immaginare un’economia diversa.
Perché? si domanda Jean-Paul Fitoussi, docente di economia in Francia e a Roma, nel suo ultimo Il teorema del lampione (ed. Einaudi). A ben vedere, ci comportiamo come l’ubriaco della storiella, che cerca le chiavi di casa sotto al lampione, non perché le abbia perdute lì, ma solo perché c’è luce: in sostanza, continuiamo a preoccuparci dell’inflazione e del PIL, mettendoli sotto la luce dei lampioni delle nostre teorie, e ci dimentichiamo (ipotizzando che siano meno importanti) della disoccupazione, dell’istruzione, dell’assistenza alle fasce più deboli della popolazione.

Siamo noi a dettare le priorità dell’economia, non “la necessità”. Possiamo disfarci del capitalismo anche subito, se vogliamo

Il professore, riprendendo l’immagine dell’ubriaco, ci spiega che la nostra situazione può venir meglio compresa (e sollevata) dal “teorema del lampione”: poiché per ogni cosa che illuminiamo siamo costretti a relegarne nell’ombra tante altre, dobbiamo scegliere con cura dove “piazzare i nostri lampioni”. Non possiamo risolvere contemporaneamente tutti i nostri problemi economici: se ci concentriamo su quelli delle banche, inesorabilmente finiremo per perdere di vista quelli dei precari e così via.
Ci siamo concentrati su quella razionalità che per decenni ci hanno additata come unica possibile: quella del “libero mercato” (la cui deregolamentazione della finanza ci ha ricondotti a dei livelli di povertà che non si vedevano dagli anni Trenta). E ci hanno detto che il tipo migliore di essere umano era quello che il premio Nobel Amartya Sen chiama “folle razionale”: quel tale che, all’incontro con un altro che gli chiede di indicargli la strada per la banca, gli indica invece quella per l’ufficio postale, domandandogli al contempo di imbucare per lui una certa lettera che gli consegna; l’altro, razionale quanto lui, accetta volentieri l’incarico, essendo già determinato ad aprire la busta per vedere se contenga del denaro.
La buona notizia - che Fitoussi ci consegna con un’analisi documentata e intelligente - è che oggi possiamo ancora sceglierci il modo in cui vogliamo vivere e il tipo di uomini che desideriamo essere; il suo “teorema” ci “dimostra matematicamente” che il nostro destino è ancora nelle nostre mani, perché l’economia non è una “legge di natura”, ma un’invenzione dell’uomo. Ciò sempre a patto che la politica torni ad assumere le esigenze degli uomini al centro della sua azione. E in politica, si sa, non c’è matematica che tenga.

(«Il Caffè», 13 settembre 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano