domenica 12 maggio 2013

Aprile rivoluzionario

Il 10 aprile di questo anno l’Uruguay ha approvato la legge che autorizza l’unione tra persone dello stesso sesso. A una settimana di distanza e all’altro capo del mondo, in Nuova Zelanda, si approva una legge dello stesso tipo. Quasi contemporaneamente - come ci ricorda Valentina Zona nel suo bell’articolo di fine aprile - anche da noi, in Francia, accade la stessa cosa.
Non si celebrano queste notizie solo perché l'omosessualità è diventata da tempo il nucleo incandescente dello scontro culturale tra progressisti e conservatori, e neanche perché l'omosessualità sia oggi il simbolo dei tanti apartheid occidentali. Lo dimostra l'entusiasmo per un’altra notizia del 25 aprile, giorno in cui è stato celebrato per la prima volta, in Libano, un matrimonio civile tra un uomo e una donna (fino al giorno prima le unioni venivano gestite esclusivamente dalle comunità religiose, ciascuna delle quali manteneva la propria autonomia: motivo per cui la prassi era - nel caso di appartenenza dei fidanzati a confessioni diverse - la conversione di uno dei due; oppure il matrimonio all’estero, che comunque in Libano non veniva riconosciuto).

Il primo diritto dell’uomo è essere accolto per ciò che è. Nessuna morale può negarlo

Cosa accomuna allora la contentezza di fronte a questi eventi, che non è solo di coloro che oggi hanno vinto la loro battaglia, ma di tanti altri? Io credo che si possa capirlo soltanto così: non è stata una vittoria contro la morale, ma una vittoria della morale.
Perché, si sa, lo scontro fra progressisti e conservatori è spesso riconducibile (tagliando le nozioni con l'accetta) a quello tra la scienza - che ama sperimentare il nuovo senza pregiudizi, a volte perfino troppo - e la religione, che appare arroccata sui suoi presupposti dogmatici intangibili e invalicabili. Ecco che subito le notizie assumono l'aspetto della battaglia fra la libertà e la costrizione, fra chi desidera l'emancipazione e l'autonomia dell'uomo e chi al contrario vorrebbe ingabbiarlo. Ma qui la gioia non prorompe solo fra gli atei-razionalisti-agnostici, bensì tra molti di quelli che si sentono e si definiscono religiosi e perfino cattolici: non solo i famosi preti disobbedienti della TV, ma tanti cristiani laici e “qualunque” che vedono in questi fatti nient'altro che una cosa molto semplice: alcuni loro fratelli oggi acquisiscono i diritti che sognavano da tempo e per la cui mancanza soffrivano. E ne gioiscono con loro e per loro.
Discorso che non finisce qui. Perché - qualcuno comincia ad averne il sentore - siamo di fronte a una rivoluzione, a qualcosa la cui gittata va ben oltre le categorie biologiche e sociali: siamo forse di fronte - anzi lo speriamo con tutto il cuore - all'inizio del passaggio da una morale “rigida”, basata sull’imposizione (dove la regola, imposta a tutti da un singolo gruppo, è spesso odiosa e inadatta a coloro che la subiscono) a una morale “fluida”, basata sull'ascolto, dove l'attenzione alle esigenze del singolo vengono prima di ogni regola già scritta, e anzi la correggono e la nutrono. Una morale insomma che non si basa su prescrizioni imposte ma sul principio (nuovo e allo stesso tempo vecchio, come tutte le cose dello spirito): “ascolta l'altro come vorresti essere ascoltato tu stesso”.
"Finalmente l’uomo cessa di essere quello che dovrebbe essere (ciò che gli altri hanno scelto per lui) e comincia a essere quello che è e che può diventare". Quanto ci piacerebbe poter leggere questa, fra le notizie del giornale di domani.

(«Il Caffè», 10 maggio 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano