sabato 23 marzo 2013

Le sorgenti del male

Unde malum? si domandavano gli antichi. Noi, a distanza di millenni, pur non usando più il latino, continuiamo a domandarci: Da dove proviene il male? Non siamo riusciti a trovare una risposta esauriente; ecco perché oggi il celeberrimo sociologo Zygmunt Bauman, del quale abbiamo spesso parlato, prova a scandagliare la questione dal punto di vista delle scienze sociali, nel suo ultimo Le sorgenti del male (ed. Erickson; traduzione e cura di Riccardo Mazzeo).
Bauman, pur interessato da sempre ai problemi della morale, parte da un presupposto antecedente alla morale: il male non discende da una lacuna nella moralità individuale, ma dal modo di concepire e utilizzare la ragione nel mondo moderno. Il male oggi non proviene dall’immoralità e nemmeno dall’irrazionalità: ma proprio, incredibilmente, da quella razionalità tipica dell’Occidente, la cui punta di diamante è la tecnologia.

«La ragione è una stazione di servizio in cui ci si rifornisce di potere».
Z. Bauman, Le sorgenti del male

L’autore parte da una considerazione ampiamente condivisa, per la quale il secolo scorso ci ha mostrato inequivocabilmente (nelle analisi di tanta filosofia incentrata sull’esperienza dei totalitarismi, a partire da Hannah Arendt) che il male non ha un’origine “disposizionale” (cioè relativa a certe caratteristiche intrinseche agli individui) bensì “situazionale” (cioè riconducibile più alle circostanze che ai singoli, per cui è tanto più vero che “è l’occasione a fare l’uomo ladro”, non tanto la sua predisposizione al furto, perché il male è banale fino al punto da ritrovarsi in insospettabili e per altri versi eccellenti padri di famiglia).
Qui interviene l’opera della ragione, quella «stazione di servizio in cui ci si rifornisce di potere». La ragione reca il potere di controllare gli altri e il mondo intero tramite la conoscenza e la tecnologia. È infatti più facile piegare il Giappone a Nagasaki, se si dispone della bomba atomica; ed è più facile convincere qualcuno a sganciare la bomba, se si sa come manipolarne la coscienza (fornendogli giustificazioni morali, attenuandone il senso di colpa, ecc.). La nostra epoca è stata maestra in questa operazione di de-moralizzazione delle azioni: il suo capolavoro è stato trasformare la guerra in una mera questione di pulsanti da premere a distanza, in modo che il carnefice nemmeno percepisca la sofferenza delle sue vittime, ignaro degli stessi effetti delle sue azioni (capolavoro culminante nella tecnologia dei droni: migliaia di persone muoiono e sembra che non sia colpa di nessuno, o forse solo delle macchine).
Bauman, che spinge tra l’altro la sua tesi nel bel mezzo di considerazioni sulla matematica del teorema del limite centrale e della “razionalità” economica (per la quale, una volta prodotte le armi, il “buon senso economico” impone di utilizzarle, invece di lasciarle marcire nei depositi), conclude che il male del mondo oggi non è causato da un deficit di ragionevolezza (come vorrebbe una certa morale intellettualistica ormai datata), bensì al contrario un’ipertrofia della ragione umana, resa insensibile alla sofferenza e all’empatia. L’unica via d’uscita dalla nostra razionalità incapace di vedere oltre l’angusto orizzonte della convenienza (anche a prezzo della vita degli altri), è quella dell’immaginazione: solo la fantasia può condurre l’umanità fuori dalla macabra ingiunzione del “bisogna” (spesso tradotto nei termini del “bisogna uccidere”). La lezione del nostro tempo è che andare al di là della ragione non è affatto una rinuncia, ma un’aspirazione. Non si vive di sola ragione. Di ragione, spesso, si muore.

(«Il Caffè», 22 marzo 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano