La trappola della felicità, di Russ Harris (ed. Erickson, 2010), parte da un’agghiacciante constatazione: lo standard di vita della società occidentale è probabilmente il più elevato dell’intera storia umana (un individuo della classe media europea o americana vive oggi in maniera più agiata di un membro della famiglia reale di un secolo e mezzo fa), eppure non si è mai vista al mondo tanta infelicità. Le statistiche - per quanto i numeri non dimostrino niente in sé, ma significano pur qualcosa - parlano chiaro: ogni anno quasi il 30% della popolazione adulta soffre di un disturbo psicologico classificato. La depressione è la quarta malattia al mondo (entro il 2020 diverrà la seconda), un adulto su quattro vive una forma di dipendenza (da alcol o da altre sostanze) e una persona su due, almeno una volta nella vita, prende in considerazione seriamente e per un periodo prolungato l’idea del suicidio.
Il libro, basato sull’approccio terapeutico ACT (Acceptance and Commitment Therapy, acronimo che non ha traduzione italiana) rivela che gran parte dell’infelicità in cui l’umanità di dibatte oggi è dovuta a un’errata interpretazione della nozione di felicità: che dovrebbe venir intesa come appartenente all’evento che la genera (e al tempo che l’accompagna) mentre ci si ostina a concepirla come un bene di consumo da produrre, consolidare e mantenere, se possibile acquistare. L’ansia del controllo trasforma in definitiva la felicità in una trappola, in cui l’individuo - eternamente inadeguato a dare felicità duratura a se stesso e a quelli che si trova intorno - si avvita in una spirale di avvilimento che lo conduce alla disperazione. Spirale dalla quale è possibile uscire anche grazie all’ACT (che è una forma di psicoterapia, non sostituita dal libro, basata sul concetto di mindfulness - consapevolezza).
Si finisce insomma per perdere di vista la propria concreta condizione esistenziale, in favore di modelli mediatici che propongono sempre immagini più belle, più magre, più ricche e gaudenti della nostra. Meccanismo simile a quanto avviene nell’infelicità di coppia, tema di cui si interessa il volume C’è un principe nel mio ranocchio (ed. Erickson, 2010). Per comprendere le potenzialità del proprio rapporto di coppia (e goderne) bisogna avere il tempo, il coraggio e l’attenzione necessari a guardare la propria realtà relazionale da vicino, dedicandosi a esplorarla e a intervenirvi con lucidità ed impegno. Bisogna insomma abituarsi all’idea che il matrimonio non sia una macchina che funziona in maniera automatica o addirittura senza pilota, bensì un giardino di cui prendersi cura senza interruzioni. Ma che può rivelarsi - per i suoi profumi, colori, forme - fonte di gioia e - perché no - di orgoglio.
Due libri Erickson per toccare con mano - a partire dall’esperienza clinica degli autori, qui esposta in un linguaggio chiaro e accessibile a tutti - che l’affermazione per la quale “non tutto può essere comprato” è qualcosa di più di uno slogan e che la vita può essere vissuta con attività e partecipazione, senza abbandonarsi agli stereotipi e alla disperazione per gli insuccessi. È un compito duro. Ma ne vale la pena.
Russ Harris, La trappola della felicità. Come smettere di tormentarsi e iniziare a vivere, ed. Erickson, 2010, pp. 270, euro 15,50.
Scott Haltzman e Theresa Foy DiGeronimo, C’è un principe nel mio ranocchio. Ottenere di più dalla vita di coppia, ed. Erickson, 2010, pp. 185, euro 16.
(«Pagina3», 4 giugno 2012)
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