«L’intento di questo libro potrebbe sembrare strano, ed in verità lo è». Così Maurice Bellet apre il suo ultimo Translation. Croyants (ou non), passons ailleurs pour tout sauver! (ed. Bayard, 2011, al momento disponibile solo in francese). Potrebbe sembrare una battuta per rompere il ghiaccio nel presentare un argomento arduo come “l’uscita dalla nostra crisi globale attuale”; o una maniera per rivendicare, fin dal primo rigo, la propria originalità. Ma forse, a ben vedere, nessuna delle due: bensì il modo più adatto a introdurre all’analisi di un pensiero inedito e radicale, in grado di guidare l’uomo contemporaneo fuori dall’impasse di un mondo sempre più privo di senso e di prospettiva, che ha prodotto - oltre alle tante merci e novità tecnologiche - un uomo disperato, che non ha più la forza di rivendicare la propria centralità e che non riesce a desiderare altro che cose da comprare al supermercato.
Non si tratta della solita vecchia questione dell’uomo spaesato in una società che va in rovina: lo si è già vista accadere, ad esempio, presso i Greci. Il nostro problema ha acquisito oggi un ulteriore grado di complessità rispetto all’epoca classica; perché mentre le terribili violenze della tragedia greca si consumavano nella cornice di un mondo stabile e perciò affidabile, nella nostra realtà è invece proprio questa sicurezza prima a venir meno: il mondo si fa “liquido” (Bauman) e a noi sembra di affondare.
Un pensiero necessario, quello di Bellet, perché l’uomo non può vivere per molto tempo sulla superficie delle cose: alla lunga, la crosta della realtà gli frana sotto i piedi. Un pensiero che osa prendere risolutamente posizione a favore dell’uomo e delle sue esigenze, al di là di ogni velleità di neutralità. Ma un pensiero non solitario, né isolato, ben consapevole del bisogno di fare di questo mondo una casa comune, di tutti, dove l’unica esclusa sia l’esclusione. In questo il dialogo occupa un punto centrale e irrinunciabile: quello interreligioso e interculturale, certo, ma in primo luogo quello con l’altro, il prossimo, che si rivela e che scopriamo nell’ascolto privo di pregiudizi.
Può una fede particolare, come quella cristiana, farsi carico di un siffatto compito universale? Bellet risponde senza mezzi termini: certo, ma a patto di operare la giusta “ricollocazione” (deplacement) in uno spazio nuovo, che ne lasci intatte le proprietà ma al contempo la renda feconda in modo inedito, come un seme che finalmente trova il terreno adatto a germogliare. Intenso, affascinante, sempre nuovo e ulteriore, Bellet non smette di introdurci nelle “stanze oscure del mondo moderno”.
(«l'Altrapagina», marzo 2012)
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