domenica 22 aprile 2012

L’Inchiesta

Prendete 1984 di Orwell, con il Grande Fratello che vi fissa da ogni angolo; unite Brazil di Gilliam, con la sua burocrazia onnipotente e inconsapevole e aggiungete l’atmosfera cupa e rarefatta dell’Indagine di Lem, quindi agitate bene: in buona sostanza starete leggendo L’inchiesta, di Philippe Claudel (ed. Ponte alle grazie, 2011). Al di là delle considerazioni sullo stile, che tuttavia ben si attaglia all’intento narrativo, la storia è questa: l’Inquirente viene inviato in missione al fine di condurre un’inchiesta sugli strani suicidi avvenuti nella grande Azienda di una certa Città. Ben presto in un climax di insensatezza e sopruso, il protagonista si ritroverà a vivere in un mondo assurdo, privato dei più basilari diritti e ancor prima della minima possibilità di compiere operazioni elementari come dormire in un letto decente, trovare un bagno, mangiare qualcosa.


Mi suicido a causa del lavoro a France Telecom. È la sola causa. Management attraverso il terrore! Sono diventato un relitto, meglio finirla.
Michel Deparis, France Telecom, nella lettera scritta prima del suicidio, 13 luglio 2009

In riferimento alla tragedia di France Telecom, percorsa qualche anno fa da un’impressionante ondata di suicidi tra il personale (ne abbiamo parlato su questo giornale il 25 giugno 2010), il romanzo conduce il lettore in un mondo stilizzato e alienante che è metafora del nostro, in cui le corporation possono non solo governare i meccanismi della vita umana ma addirittura riscriverli: un mondo rovesciato in cui non è l’interesse dell’uomo e degli uomini a prevalere ma quello dell’economia, tanto inveterato da perdere perfino la percezione del capovolgimento operato: emblematico al riguardo l’immagine del Direttore dell'Azienda che - puntando un grosso faro negli occhi dell’Inquirente - gli chiede di raggiungerlo; quando questi gli spiega di non riuscire a vederlo, il Direttore si stupisce, dicendo: “strano, io riesco a vederla benissimo”.
Claudel (acclamato da Repubblica come uno dei romanzieri migliori della sua generazione, dal quale sarebbe dunque legittimo aspettarsi che la piantasse di scimmiottare Kafka a pagine alterne) ha le idee chiare sul punto e lo scrive:
da un pezzo non ci sono più re. I monarchi di oggi non hanno più testa né volto. Sono dei meccanismi finanziari complessi, degli algoritmi, delle proiezioni, delle speculazioni su rischi e perdite, delle equazioni di quinto grado. I loro troni sono immateriali, sono schermi, fibre ottiche, circuiti stampati, e il loro sangue blu sono le informazioni cifrate che vi circolano a velocità superiori a quella della luce.
In un mondo del genere è inutile tentare di capire: fino all’ultimo rigo nessuno troverà risposta alle proprie domande. Non resta che morire come tutti quelli che ci hanno preceduto. E adesso, pubblicità.

(«Il Caffè», 20 aprile 2012)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano