
Nel primo, L’abuso infantile. Tutela del minore in ambito terapeutico, giuridico e sociale (di C. D’Ambrosio, 2010), cominciamo a scoprire qualche dato: il 40% degli adulti visita abitualmente siti pornografici; i siti pedopornografici alimentano un giro d’affari online da oltre 5 miliardi di dollari; nel solo 1999 sono stati individuati e censurati quasi 8.000 siti a sfondo pedopornografico in tutto il mondo.
Si capisce bene che il problema della pedofilia non è quello del maniaco isolato, ma quello di un mercato florido gestito in maniera imponente dalla criminalità organizzata. Le cui vittime sono bambini di età compresa tra i due mesi (avete letto bene) e i dodici anni. Il libro non è rivolto soo agli specialisti del lavoro terapeutico e peritale, ma anche ad avvocati, insegnanti, educatori, genitori e tutti coloro che, a vario titolo, sono interessati a prendere contatto con le dimensioni socioemotive dell’abuso. Per capire che l’abuso non è solo sessuale (la storia dell’abuso infantile conosce un vasto repertorio di sofferenze, con bambini maltrattati, trascurati, abbandonati, traumatizzati, minacciati, terrorizzati, aggrediti, sfruttati, venduti, incatenati, uccisi); ma anche per entrare nel vivo di un lavoro che non è un mestiere come un altro: qui l’operatore si gioca completamente e personalmente in una relazione con il bambino abusato, la quale non ha proprio nulla di neutrale. Di fronte al dolore non c’è alcuna “soluzione”: ma solo rispetto e accoglienza.
La pedopornografia è un mercato da 5 miliardi di dollari gestito dalla criminalità organizzata. Sulla pelle dei bambini
In sintonia con questa conclusione il volume di P. Donati, F. Folgheraiter e M.L. Ranieri (a cura di), La tutela dei minori. Nuovi scenari relazionali (ed. Erickson, 2011), che parte da una sconcertante evidenza: il lavoro della tutela dei minori è l’opera del possibile, spesso inferiore al necessario. È un’opera difficile e copmplessa, alla quale bisogna lavorare alacremente e con competenza, ma senza manie di perfezionismo o ansia di riuscire.

Anche qui si tratta di un lavoro che richiede la capacità di calarsi nella vita degli altri, stringendo con loro una relazione salda, al punto da riuscire a pensare alle soluzioni “dal loro punto di vista”; invertendo l’approccio dottrinario alla questione (per il quale il presupposto teorico va semplicemente “adattato” al caso specifico), in favore di una strategia che costruisca le soluzioni a partire dalle condizioni specifiche dei minori e delle famiglie, il cui punto di vista va ascoltato e fatto proprio come elemento irrinunciabile. Ciò che Folgheraiter spiega parlando di “circolarità” (“reciprocità”): gli operatori dovrebbero cercare di trattare le famiglie così come vorrebbero essere trattati da esse. Un’opera in cui la fiducia tra le persone e lo spessore umano di chi interviene giocano un ruolo decisivo.
Se siete riusciti ad arrivare fin qui, vi ricordo che in Italia è possibile segnalare contenuti illegali o potenzialmente dannosi attraverso il sito http://www.hot114.it o le linee telefoniche 114, 19696 e 199.151515. Buona domenica.
(«Il Caffè», 16 dicembre 2011)
