domenica 6 novembre 2011

Se lo dice la scienza/2


Certe cose è meglio chiarirle subito. E io, riguardo all’articolo della settimana scorsa, vorrei chiarire che nessuno pensa di rifiutare la scienza in quanto tale. Tanto meno di demonizzarla. Né, cosa peggiore di tutte, di accingersi a condannarne metodi e scopi al comodo della propria auto ipertecnologica. Infine, non vogliamo attardarci su riflessioni (oggi ridotte a slogan) come l’heideggeriana “la scienza non pensa” (che tuttavia andrebbe meditata con attenzione). Quello che cercavo di fare sette giorni fa non è ignorare o irridere la ricerca e le scoperte scientifiche, ma soltanto di evitare di divinizzarle al punto di considerarle imprescindibili.

La scienza ha certamente molto da insegnarci. Ma bisogna evitare di farne un nuovo vitello d’oro

Vediamo perché. A cominciare dall’opinione in proposito di Michael Hanlon, giornalista scientifico con decenni d’esperienza alle spalle, che sulla scienza e in particolare sulla comunicazione scientifica la sa lunga. Ecco cosa scrive nel suo Dieci domande alle quali la scienza non può (ancora) rispondere (ed. Codice, 2008):
al giorno d’oggi, se somministro l’additivo x a una decina di persone e scopro un lievissimo effetto sulla loro salute, mi basta telefonare ai pennivendoli giusti per ottenere su due piedi la richiesta di bandire immediatamente x. La prossima volta che vi capiterà di leggere che una sostanza o un’attività x è stata “messa in relazione” con la malattia y, siate sospettosi, molto sospettosi. Mentre scrivo queste righe, ho sotto gli occhi un titolo di un giornale di Londra: Bere Cola danneggia le ossa. Non abbiamo motivo di dubitare dei risultati di questa ricerca e tuttavia non dubitiamo neanche che nel giro di pochi mesi (o settimane, o anni) arriverà un altro studio che mostrerà un collegamento statistico tra il consumo di bevande gassate e buone condizioni di salute, forse anche delle ossa (il caffè sembra passare dalla categoria di bevanda salutare a quella di bevanda dannosa in modo ciclico e regolare ogni 3 mesi).
Questo per quanto riguarda la cattiva informazione scientifica montata ad arte (o a pagamento) dagli “amici”. Cui si aggiunge la fretta dello scoop, della corsa contro il tempo alla denuncia dell’idea che cambierà il mondo e della conseguente celebrità. Il fatto è che quando si pubblica tanto e tanto in fretta, senza la dovuta decantazione, si corre il rischio di scrivere cose che verranno smentite più in fretta di come sono state annunciate. Così ancora Hanlon:
sono andato a pescare alcuni articoli recenti sulle malattie cardiache, il cancro e i colpi apoplettici e ho scoperto che, se vogliamo credere a tutti questi “studi”, consumando la giusta quantità di manghi, caffè, vino rosso, broccoli, olio di pesce e riso selvatico e andando a vivere nella regione giusta del Giappone, potrei aspettarmi di vivere fino al XXIII secolo. D’altro canto, leggendo un’altra serie di articoli scoprirei che, con il mio stile di vita, dovrei essere morto da vent’anni.
Concludendo, la colpa non è delle ricerche, cioè della scienza. La colpa è certo della cattiva divulgazione, ma è soprattutto nostra, che siamo oggi assuefatti a una comunicazione scientifica onnipresente e non facciamo altro che attenderne le rivelazioni come da un oracolo. Uno di questi giorni ci diranno che il ciuccio vola, e noi tutti con la testa per aria a scrutare il cielo. I ciucci non volano. L’ha detto pure Quark.

(«Il Caffè», 5 novembre 2011)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano