sabato 26 novembre 2011
Gli ausiliari del fisco
Si dice spesso che chi non richiede lo scontrino è colpevole quanto chi non lo emette. La settimana scorsa ho provato a spiegare che a mio avviso il compito di richiedere lo scontrino, ovvero di accertare e sanzionare l’infrazione, non dovrebbe essere addossato ai cittadini, ma a qualcun altro. Oggi vi presento la proposta, che traggo da Alessandro Gilioli, giornalista dell’«Espresso» il cui blog “Piovono rane” è fra i più letti in Italia.
Gilioli propone l’istituzione degli “ausiliari del fisco”, uomini in borghese che si rechino presso gli esercizi commerciali, gli studi medici, gli artigiani, e che - in assenza di ricevuta fiscale - emettano una salatissima sanzione. Non solo l’idea è accattivante in quanto cogliere il ladro con le mani nel sacco è il sogno di ogni persona onesta, ma in più risoolverebbe il problema che denunciavamo la settimana scorsa: cioè la difficoltà di contrapporsi, foss’anche solo per lo scontrino, a persone con le quali si ha a che fare amichevolmente tutti i giorni, e che con ogni probabilità traspongono la questione sul piano personale (mentre non si tratterebbe d’altro che d’onestà; ma è pur vero che a nessuno piace essere bacchettato e richiamato all’ordine). Purtroppo in Italia le tasse vengono sempre considerate un’offesa alla persona. Questa proposta degli ausiliari del fisco potrebbe sembrare l’uovo di Colombo: si potrebbe dar lavoro a una moltitudine di giovani, centinaia di migliaia da distribuire su tutto il territorio, che non costerebbero allo Stato neanche un centesimo, perché verrebbero remunerati grazie agli introiti delle sanzioni stesse (una sola multa da 2.000 euro potrebbe ben compensare il lavoro svolto dal giovane per un intero mese).
C’è un problemino. La legge italiana dev’essere preventiva, non punitiva: cioè, l’obiettivo della legge è quello di evitare l’illecito, non di punirlo una volta commesso. Questo è il motivo per cui sugli autovelox troviamo sempre dei giganteschi cartelloni con la scritta “autovelox”. E questo nonostante le leggi siano ben note a tutti (almeno, lo è il fatto che le tasse vanno pagate).
Ebbene, lo spirito della legge italiana lo condivido. Così come - chi mi legge pur di rado lo sa, anche se io non ambisco ai 24 lettori di cui giustamente si fregia il nostro Direttore - non ho mai simpatizzato per le cosiddette “leggi speciali”. Però vorrei dire lucidamente una cosa: che un popolo dovrebbe aspirare al livello di democrazia che può permettersi. Se ad imbrogliare è un solo cittadino, ci si può permettere uno Stato con una sola auto della guardia di finanza. Ma quando ad imbrogliare sono in tantissimi, forse la maggioranza... non si può mantenere un livello di garantismo che funzionerebbe in uno Stato di onesti, ma che qui è fuori luogo perché provoca più danni di quanti problemi risolva. Pensiamoci seriamente. Quando tutti i professionisti avranno preso l’abitudine (a causa dello spavento continuo di trovarsi l’ausiliario di fronte, sotto mentite spoglie) di essere onesti, potremo tornare ai metodi tradizionali. Certo, c’è il rischio di abituarsi a un sistema deprecabile, ma che funziona; con il quale, a ben vedere, non siamo molto lontani dalle leggi speciali (anche queste, in fin dei conti, non fanno mai una questione di principio, ma di adeguatezza - e con questa scusa negano il principio). Ma del resto, le “manovre finanziarie lacrime e sangue” che ci si ripresentano ogni tre mesi... non sono anch’esse leggi speciali? Leggi che dobbiamo subire violentando il nostro stato di diritto, e che in più non risolvono il problema (anzi, creano davanti davanti ai nostri occhi prospettive future devastanti)?
Aspiriamo a ciò che possiamo permetterci, e operiamo per migliorare (e quindi permetterci qualcosa di meglio). Tutto il resto - ciò che non possiamo permetterci - non fa che accumulare il nostro debito. Pubblico.
(«Il Caffè», 25 novembre 2011)
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