Continua a riscuotere consensi a livello planetario il paradigma dello “scontro di civiltà” teorizzato da Samuel Huntington nel 1993 (ne sono un grottesco esempio le recenti esternazioni dei leghisti nostrani sulla “Padania bianca e cristiana”). Alla miope visceralità di questa teoria, Fred Dallmayr, docente di filosofia politica statunitense, contrappone da un decennio l’idea di un dialogo tra le culture (che dà il titolo al libro omonimo, pubblicato nel 2010 dall’editore Marsilio).
Il dialogo tra le culture è un libro di filosofia geopolitica, la cui riflessione spazia a tuttotondo fra le vicende storiche più recenti dell’intero pianeta, con un’attenzione particolare verso quelle europee e mediorientali. Il dialogo è l’unica alternativa, oggi, all’autodistruzione nucleare e alla guerra infinita; in più, è l’unica via ragionevolmente percorribile di fronte a problemi globali (cioè di tutti) ai quali nessuna cultura è in grado singolarmente di dare risposte soddisfacenti. Nessuno al mondo è completamente indipendente dagli altri e nessuno è autosufficiente: folle è chi teorizza, in queste condizioni, strategie e tatticismi bellici che appartengono al passato.
Nessuna cultura può vantare soluzioni locali ai problemi globali. Il dialogo è l’unica via percorribile
Il dialogo è tuttavia una categoria da maneggiare con cura e al di là degli stereotipi à la page: non si tratta infatti né di una cosa semplice, né a buon mercato. Richiede disciplina e competenza, e la ferma disponibilità a incontrare l’altro - anche e soprattutto in quegli aspetti che possono risultare sgradevoli o problematici - e a rinunciare a qualcosa del proprio in favore di un interesse comune più ampio. Su questa linea Dallmayr si muove confrontandosi con il pensiero filosofico contemporaneo (Habermas, Derrida, Gadamer); nonché con il pensatore iraniano Abdolkarim Soroush, il mahatma Gandhi e il filosofo catalano Raimon Panikkar, cui è riservato un capitolo sul concetto di “sacra secolarità”.
Il dialogo tuttavia non è solo un antidoto alla guerra, ma un metodo adatto alla soluzione di ogni tipo di conflitto. In Occidente, ad esempio, ancora sopravvive la lacerazione tra il “sacro” e il “profano”, tra una secolarità materiale che mostra sempre più la propria insostenibilità (nell’insoddisfazione, nella violenza, nelle nevrosi e nelle psicosi delle masse) e una religiosità che si vorrebbe relegare nella sfera del personale, dell’emotivo, del passato e in definitiva dell’irrilevante. Ma il secolarismo e il “cultuale” non hanno bisogno di combattersi a oltranza; la vera novità di quest’epoca - spiega Panikkar - non è la fine di questa inimicizia, ma la sua dissoluzione: “ciò che sta emergendo ai nostri giorni è un modo nuovo di guardare alla realtà. L’ambito temporale è considerato positivo e, in qualche modo sacro”.
Denso di filosofia ma abbastanza accessibile a tutti, Il dialogo tra le culture di Fred Dallmayr può essere letto come introduzione al dialogo a partire dall’attualità e non dalla teoria generale. Con la Prefazione dell’ex ministro Giuliano Amato.
(«Il Caffè», 24 giugno 2011)