venerdì 8 ottobre 2010

L'inerzia della mente

Ho sentito Panikkar affermare, in una conferenza del 1990 che ho ascoltato presso il sito di Arcoiris: «cerco la legge dell’inerzia della mente». Che vuol dire? In un articolo di Panikkar ho letti invece che “nell’uomo esiste una dimensione che sfugge alla logica” e che “il caso non esiste”. Come conciliarle? E come leggere la seconda, se non nel senso deterministico di Laplace?

(domanda inviata da Ciro De Simone, Cercola (NA), agosto 2010)
Già nel 1987 Panikkar scriveva: «io sto cercando una formula – non la trovo ancora e, paradossalmente, non può essere matematica – per esprimere l'inerzia della mente, che è molto superiore all'inerzia della materia» (R. Panikkar ed al., Pace e disarmo culturale, l’Altrapagina, Città di Castello (PG), p. 11).
“Inerzia della mente” non è un termine tecnico. Utilizzata dal filosofo
anche altrove (ad es., nella conferenza “Ambiguità della scienza”; nel volume L’esperienza filosofica dell’India, ed. Cittadella, Asisi (PG) 2000, p. 24; o ancora nel saggio “Il pluralismo della verità”, 2008), l’espressione si riferisce a quei modi di pensare abituali, che più o meno ingiustificatamente tendono a persistere anche quando l’evidenza, le esigenze o i mutamenti storico-sociali richiederebbero di affrancarsene. Un esempio per tutti: secondo Panikkar, è evidente che oggi - nel nostro mondo globalizzato e multiculturale - nessuno possa prescindere dal dialogo con l’altro; eppure il dialogo vero e proprio fatica ad affermarsi, e al contempo assistiamo a rigurgiti xenofobici, fondamentalistici, provincialistici.
Richiederebbe un approfondimento maggiore la seconda questione, cui qui accenneremo. Per Panikkar la realtà è cosmoteandrica: alla dimensione umana si intersecano quella materiale e quella divina. Entrambe - ciascuna a suo modo - sfuggono alla logica. Quella materiale poggia sul fondo oscuro del mito (cfr. Mito, fede ed ermeneutica, ed. Jaca Book, Milano 2000). Quella divina è la dimensione della libertà, della novità, della creazione: essa sfugge alla logica anche solo quando sboccia una rosa - la quale “è senza perché” (Silesio). Siamo agli antipodi della concezione di Laplace, per la quale (pur di avere sufficienti risorse a disposizione in termini di tempo e di intelletto, e la conoscenza di tutte le condizioni iniziali) la realtà sarebbe interamente razionalmente consoscibile: per Panikkar il pensiero non è tutto. È vero che per Panikkar “il caso non esiste”: ma non perché la realtà sia un grande meccanismo dal comportamento determinabile (e determinato), bensì perché ogni cosa è in relazione con tutto il resto, e ogni cosa risente certo dell’influenza di tutto ciò che c’è, senza eccezioni. Ma in nessun caso la realtà è completamente prevedibile: la libertà radicale del reale (e non il caso cieco) sfida qualunque Teoria Fisica Unificata. Quello che noi chiamiamo “caso” non è dovuto soltanto all’ignoranza dell’intera trama delle cause, ma anche al mito e alla libertà, che ci rendono la conoscenza della realtà opaca e imprevedibile.

(«Bollettino CIRPIT», n° 1, supplemento di settembre 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano