martedì 14 settembre 2010
E. Holenstein, Atlante di filosofia, ed. Einaudi, 2009
Non esiste alcun testo senza il suo proprio contesto: da questo spunto prende le mosse l’ottimo libro di Elmar Holenstein, Atlante di filosofia (Einaudi). “Alla filosofia non interessa chi, quando e dove abbia detto qualcosa, ma solo se quel qualcosa sia vero o meno - scrive il docente emerito di filosofia presso il Politecnico federale di Zurigo - ma per capire qualcosa tanto da poterlo valutare, non si può prescindere dal relativo contesto”.
Una conclusione ermeneutica tanto consolidata da sembrare oggi quasi ovvia. Eppure sono ben pochi quelli che possono vantare la conoscenza dei luoghi in cui le filosofie sono nate e successivamente diffuse, con una genericità superiore a “Cina, IV secolo”. Oggi che l’interculturalità viene affermandosi di fatto all’interno delle nostre
società globali, la filosofia mostra la propria esigenza - di diritto - a un confronto a tutto tondo con il pensiero dell’intero pianeta. Per scoprire con meraviglia che, da un lato, medesime “verità” sono state affermate in tempi e luoghi diversi e talvolta lontani; dall’altro, che ciò che a tutta prima sembra essere simile (se non addirittura identico) in contesti diversi, è a ben vedere affatto differente.
Nella storia della filosofia il legame con la geografia - anche quando non è stato portato alla ribalta - è sempre rimasto presente in trasparenza. Per Montesquieu i cardini dell’antropologia sono il clima e il suolo (climat e terrain); ma fin dall’inizio, gli studiosi di geografia erano anche studiosi della natura (come i filosofi), al punto che il medico-antropologo Ippocrate intitola il suo libro maggiore Dell’aria, delle acque, dei luoghi. Contro un certo odierno positivismo antropologico che pretenda di descrivere l’uomo come un essere in grado di autodeterminarsi indipendentemente dal proprio ambiente (e dunque di pensare la verità, per così dire, in vacuo), il professor Holenstein ricorda che questa affermazione dovrebbe essere preceduta dalla domanda su quanto l’ambiente pre-determini l’uomo. La geografia, in un certo senso, viene prima della filosofia; o meglio, è la filosofia ad essere - fin dal primo suo sorgere - intrinsecamente “geografica”.
L’Atlante (corredato da una gran quantità di Indici che occupano tutta la seconda metà del volume) si sviluppa su due binari: le pagine pari sono dedicate alla trattazione per esteso degli argomenti, le pagine dispari sono dedicate alle mappe. Ad ogni tappa dell’evoluzione storico-geografica dell’uomo (affrontate in sequenza) è associato il corrispondente sviluppo del pensiero filosofico. Ai modelli della biologia evoluzionistica vengono affiancati quelli elaborati da filosofi come Hegel (modello lineare ascendente) e Jaspers (modello del “tubo della stufa”).
Secondo l’autore, «l’Atlante di filosofia non è un’opera enciclopedica ma un progetto pilota. Intende rendere visualmente consapevoli di quanto sia urgente scrivere la storia della filosofia tenendo conto non solo della cronologia, ma anche dello spazio geografico». Il suo auspicio è che la conoscenza della geografia della filosofia possa portare una maggiore riconoscenza e un più giusto apprezzamento verso i contributi forniti dagli “altri”; ciò recherebbe d’altronde una maggiore e più opportuna modestia.
Comunque sia, l’Atlante di filosofia è un’opera pregevole e originale, adatta agli “addetti ai lavori” quanto agli studenti di filosofia del liceo e anche dell’università, da affiancare al manuale di storia della filosofia (che l’Atlante non sostituisce). Prezioso per scoprire quanto più saggi di noi fossero uomini da noi lontani nello spazio e nel tempo, la cui sapienza spesso dileggiamo con incauta leggerezza. Salutare per liberarci dal nostro asfittico - tutto occidentale e tutto moderno - complesso di superiorità.
(«il Recensore.com», 14 settembre 2010)
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