
conoscenza, foriera di fiducia e di avvicinamento. Così si dà luogo a ciò senza di cui nessuna pace è immaginabile: la concordia.Da tale lucida presa di posizione prende le mosse questo libro di Panikkar, raccolta di 9 articoli a cura di Milena Carrara Pavan, in parte già pubblicati in italiano. Di particolare rilevanza, a partire dal titolo, appaiono i due contributi su "La pace politica come obiettivo religioso" e "L'ingiustizia nel mondo non ci lascia indifferenti". In quest'ultimo, in particolare, Panikkar parte da un assunto molto concreto: c'è al mondo una stragrande maggioranza di persone che vivono in condizioni di povertà, disagio o emarginazione, cui non rimane nessuna speranza; la restante minoranza (1 miliardo su 6), quella privilegiata, che non muore di fame e può sperare, è quella cui apparteniamo noi. Questa minoranza - in quanto tale (cioè nell'impossibilità di avvalersi del criterio utilitaristico del maggior bene per il maggior numero) nonché in quanto sedicente "cristiana" - non può mostrarsi indifferente a tanta ingiustizia: ha bisogno infatti di proclamare (anche se lo fa spesso ipocritamente), come singoli, come governi e come organi internazionali, che alla sorte dei suoi simili non è insensibile. Quella dei nostri giorni è infatti la più grande ingiustizia che la storia abbia conosciuto (cioè quella del nostro tempo: non c'è mai stata tanta gente che muore di fame, proprio oggi che c'è abbastanza cibo per tutti). Di fronte a ciò, Panikkar spiega che abbiamo bisogno di due "conversioni": lo smantellamento dell'ordine tecnico-economico imperante - sul piano politico - e il superamento del monismo e del dualismo - sul piano filosofico. Sullo sfondo, la "conversione del cuore", l'atteggiamento spirituale che ci fa sentire - al di là di ogni giustificazione ideologica, spiegazione razionale, appello all'emotività - che l'altro è in qualche modo realmente nostro fratello, sangue del nostro sangue, carne della nostra carne, e che il suo dolore è in certa misura anche il nostro.
Su questo piano, quello dello spirito, della religione, si gioca la partita più importante del millennio: quella della giustizia. Perché senza giustizia non può esserci pace, ma solo assenza di guerra (sempre instabile) e tolleranza (come disinteresse per l'"altro" da noi). "Consacrare le nostre vite all'affermazione della giustizia" è l'auspicio che il filosofo rivolge all'uomo contemporaneo, ben consapevole dell'altezza della sfida. La sensibilità di Panikkar è dunque ben lontana da una rassegnazione fatalistica come da un qualsiasi rinvio della questione all'aldilà (comunque lo si voglia intendere). La religione è per noi, oggi, su questa terra, e può condurci alla pace. Purché la vogliamo veramente.
(«il Recensore.com», 2 luglio 2010)
