giovedì 15 luglio 2010

Psicopatici di successo. Su La morte del prossimo di Luigi Zoja

Alcuni studi europei e americani di psicopatia aziendale (corporate psychopahy) hanno messo in evidenza che in molti manager di successo si riscontrano divesi disturbi psichici tipici dei criminali: mancanza di scrupoli e di responsabilità, tendenza alla menzogna e alla manipolazione, cinismo. Solo per citarne alcuni. Lo apprendiamo dal libro di Luigi Zoja, La morte del prossimo (ed. Einaudi, 2009).
Il professore spiega che questi studi sono fioriti in seguito agli scandali finanziari della fine del secolo scorso; grazie ad essi è emerso che i manager responsabili di disastri non erano persone pentite per uno sbaglio commesso o per delle immoralità eccezionali, ma soggetti portatori di perversioni morali permanenti, privi di sensi di colpa. In una parola: psicopatici (che si differenziavano dai criminali semplicemente perché erano riusciti ad avere "successo").
Come mai, al governo delle maggiori aziende dell'Occidente, si sono ritrovate tutte queste persone con disturbi? Evidentemente, non è un caso. Secondo il docente,
l'accelerazione imposta alla società dalla rivoluzione informatica e dalla competizione del mercato ha eliminato persone dotate di fedeltà, cautele e scrupoli, favorendo l'emergere di tipi intuitivi, cinici, opportunisti
Né questa è una fatalità, una mera contingenza storica; si tratta piuttosto del prevedibile sviluppo di una organizzazione economica, quella capitalistica di matrice finanziaria, che porta l'imprenditore ad allontanarsi sempre di più dai suoi simili, soffocando la naturale empatia, per avvicinarsi ai contratti, alle battaglie legali e all'interesse degli azionisti (non agli "azionisti" in carne ed ossa, si badi; ma unicamente al loro interesse, cioè il rendimento finanziario).
Secondo un sondaggio della CNN, l'80% delle persone vorrebbe che i candidati responsabili d'azienda venissero sottoposti preventivamente a test per la rilevazione della presenza di psicopatie. In realtà non solo ciò non avviene, ma a poco servirebbe in ogni caso: è infatti ingenuo (se non ipocrita) allevare una stirpe i cui unici ideali sono i soldi, la fama, la carriera e poi sperare che ne rimanga qualcuno sano di mente adatto a fare il manager senza troppi danni. Perché quello che viene ogn'ora incentivato è un atteggiamento da rapace a pese degli altri: cosa vuol infatti significare la ritrita formula d'oltreoceano "essere un vincente", se non che si fa di tutto perché gli altri "siano dei perdenti"?
Quella che occorre è una riforma della mentalità di questa nostra società logorata dalla fretta e dall'estraneità con tutto ciò che ci circonda: l'altro, la natura, se stessi. Occorre invertire lo storico verdetto di quel giudice americano che diede ragione ai Dodge nella causa contro Ford (che voleva reinvestire gli utili per ampliare gli stabilimenti), il quale sentenziò che "lo scopo di un'azienda è l'arricchimento dei proprietari, e non il benessere dell'intera società". Questa prospettiva va capovolta, nello spirito del meraviglioso art. 41 della nostra Costituzione repubblicana, per il quale "l'iniziativa economica è libera, ma non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o la dignità umana e va indirizzata e coordinata a fini sociali" (parafrasi mia).
L'altro come risorsa (da sfruttare); l'altro come cliente (da catturare); l'altro come avversario (da sconfiggere). Tutte deviazioni di un sistema economico che si ripercuotono sulla convivenza, la civiltà, l'umanità degli uomini. Questa economia vuole l'accumulazione della ricchezza, non la vita dell'altro. Benvenuti nell'era della morte del prossimo.

("il Recensore.com", 12 luglio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano