mercoledì 14 luglio 2010

La piaga del nucleare/6

A Grand Isle, negli Stati Uniti, c'è un cimitero con 101 croci bianche. Su ognuna di esse c'è il nome di una delle cose che la marea nera causata dalla fuoriuscita di petrolio dalla piattaforma della BP nel Golfo del Messico si è portata via: le partite a beachvolley; i gamberetti; le passeggiate sulla spiaggia e tante altre.
Purtroppo, non è il peggio. Perché, paradossalmente, l'incidente della Deepwater Horizon sta spingendo una parte dell'opinione a prendere le distanze dal petrolio come fonte d'energia, in favore del... nucleare.
“E se qualcosa andasse storto?” si domanda Mark Gimein, del «New York Magazine». Cosa accadrebbe se avvenisse un incidente irreparabile a una centrale nucleare, delle proporzioni di quello di Chernobyl (magari per cause diverse)? Di fronte a una tale eventualità, è impossibile invocare l'accuratezza delle leggi o la solerzia dei controlli. Si sa che l’industria privata risparmia su tutto quello che può (e spesso anche dove non potrebbe) per aumentare i profitti. E come abbiamo visto in passato, quando le centrali non sono correttamente gestite (vedi Chernobyl), gli incidenti possono essere devastanti. Ma, anche al di là del dolo, la tecnologia è imperfetta per definizione. Come lo è il cosiddetto "fattore umano".

Ma se 'sto nucleare è così sicuro, perché l'European Pressurized Reactor (EPR) di tecnologia francese - quello che sbarcherà in Italia - richiede zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d'acqua senza però il pericolo di inondazioni e, preferibilmente, la lontananza da zone densamente popolate? Cosa si teme? E chi può garantire la sussistenza e la persistenza di tali condizioni? E se ci si sbagliasse?

C'è un solo modo per evitare i rischi: non fare cose rischiose. È il buon senso che apprendiamo da bambini; poi, da adulti, presto ce ne dimentichiamo. Ma la legge rimane: le cose pericolose vanno evitate; più sono pericolose e più vanno evitate. Non serve dire "starò attento". Le precauzioni riducono il rischio ma non lo eliminano. Mai. Pretendiamo dai nostri figli che non si avvicinino al fuoco, mentre da noi pretendiamo l'esatto opposto (tanto che chi sostiene di essere contrario al nucleare per motivi di sicurezza viene tacciato di "pregiudizio ambientalista", "ingenuità ecologistica" e simili).
Atteggiamento che l'economista francese Jacques Attali ha stigmatizzato come "incoscienza collettiva di fronte al rischio". Ne è un esempio la dichiarazione del prof. Vincenzo Pepe, in merito alla presunta sicurezza degli impianti nucleari: «gli impianti nucleari di terza generazione sono 100 volte più sicuri di quelli di seconda. Prevedono anche l’imprevedibile». Il prof. Pepe, Presidente del movimento «FareAmbiente», che ha gentilmente accettato la mia intervista (richiesta a commento delle dichiarazioni su "Buongiorno Campania", edizione di Caserta, 9 giugno 2010, p. 5, del Presidente della commissione energia di «FareAmbiente», Orazio Mainieri), ci mette di fronte alla nota illusione di avere tutto sotto controllo, di poter dirigere il corso degli eventi con la forza della semplice ragione. È insomma ancora una volta il drammatico fatalismo della scienza (che accusa gli altri di dogmatismo, ma è la prima a praticarlo), per la quale "tutto ciò che è possibile lo faremo". Senza alternative.
Ma al di là di ogni fideismo ingegneristico, la possibilità che qualcosa vada storto a causa della cattiva gestione o dell'imperfezione della tecnologia, permane. Nessuna tecnica sofisticata è in grado di confutare l'affermazione: "gli incidenti possono capitare". Se ci è proprio tanto difficile essere saggi come i nostri figli, almeno facciamolo per loro.

("Il Caffè", 9 luglio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano