martedì 13 luglio 2010

La guerra è guerra/2


Terribile è il bilancio delle vittime della guerra in Afghanistan. Secondo il sito internet www.icasualties.org (dal quale cita i dati la stessa ANSA), ogni giorno muoiono in Aghanistan due militari della coalizione internazionale, ad opera della guerriglia talebana. Quasi il doppio della cifra relativa allo stesso periodo dell'anno scorso (gennaio-maggio 2009).Due al giorno. Come i due militari italiani morti il 17 maggio 2010, Massimiliano Ramadù (33 anni) e Luigi Pascazio (25 anni). Due anche i feriti, nello stesso attacco: Gianfranco Scirè, 28 anni e Cristina Buonacucina, 27 anni. Un'amica della Buonacucina ha spiegato: «Cristina sapeva che avrebbe indossato una mimetica e non una divisa; sapeva a cosa sarebbe andata incontro».

In guerra, certe volte, i vivi possono invidiare i morti.
Come chiamare il nostro mondo, se non "mondo alla rovescia"?

Verrebbe da dire che gli ultimi due sono stati fortunati rispetto ai loro compagni uccisi, se la parola "fortunato" si può utilizzare in una cornice simile, per dei giovani che - se è vero che non ci hanno rimesso le penne, tuttavia c'è mancato poco. Ma forse quel che più risalta qui è, appunto, la consapevolezza: due giovani, coscienti di ciò vanno ad affrontare, decidono di arruolarsi e partire. Si può pensarla come si vuole. Ma, di fronte alla consapevolezza, nessuno può essere arbitro delle scelte altrui.
Non tutti sono così "fortunati". Alcuni vengono arruolati senza sapere che fine faranno, e si ritrovano magari proprio al fronte afghano, posto che, fino a un giorno prima, non avrebbero neanche saputo indicare sulla carta geografica. Capita così ad esempio ai ragazzi degli Stati Federati di Micronesia, che si arruolano nell'esercito statunitense per sfuggire alla povertà. Lo fanno sempre per gli stessi motivi: ricevere uno stipendio, girare il mondo e pagarsi il college. Essi non sanno nulla di ciò che può toccargli in sorte. Ma la Federazione ha un PIL pro capite di 2.200 dollari e la disoccupazione al 22%; con le rimesse dei militari si mantengono famiglie intere. Nessuno di loro fa troppe domande di fronte ai manifesti per l'arruolamento. Nessuno degli ufficiali si mette a spiegargli quale potrebbe essere la destinazione. Molti non sanno nemmeno che Washington sia in guerra. L'esito di tutto ciò è che la FSM ha subito in Iraq e in Afghanistan più perdite di qualunque altro stato americano; il tasso di mortalità dei militari micronesiani è 5 volte superiore a quello americano.
Ora immaginate delle carriole. Però, non figuratevele disposte orizzontalmente, con la ruota a terra; bensì a testa in giù, con i manici piantati al suolo, la ruota in alto e il bordo della vasca appoggiata al muro. Una file di carriole così disposte contro un muro, in Afghanistan. Sotto ciascuna carriola, un uomo, rannicchiato, seduto a terra, per ripararsi dalla pioggia occorsa d'improvviso durante lo sgombero delle macerie in seguito a un attentato terroristico. Vedo la foto della Ap/Lapresse e mi chiedo se così, di sfuggita, solo per un attimo, anche uno solo di loro - senza più nulla, nulla di ciò che aveva prima, nessuna prospettiva di pace, forse senza famiglia - non stia per caso invidiando i morti. Forse è retorica. Si dirà demagogia. Ma, dopotutto, è semplicemente guerra. Guerra. Nient'altro che guerra.

("Il Caffè", 2 luglio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano