Un anno fa scrivevo su queste pagine che Facebook "ha successo perché ti istiga ad essere te stesso. Per la varietà e la frequenza delle sollecitazioni, sarebbe impossibile reggere una menzogna troppo a lungo". A seguire domandavo: “sei tu ad avere un’identità sociale su FB, o è FB ad avertene concessa una al suo interno?”.
Pensandoci un po' su, avrei potuto essere più chiaro. Insomma: su FB si è se stessi, o è tutta una finzione? Continuo a credere che in FB si sia sostanzialmente se stessi (con ovvi momenti di insincerità; con tutto lo scarto dovuto all'impossibilità di avere rapporti autentici attraverso lo schermo di un computer; con tutta la necessaria contestualizzazione - i social network, SN, hanno anch'essi un loro linguaggio, un loro standard culturale e comportamentale ecc.). Quando parlavo di identità concessa dal server, non alludevo dunque alla creazione ad hoc di un proprio personaggio (secondo me difficile da sostenere alla lunga), ma al fatto che FB apre uno spazio altrimenti impensabile al di fuori di questo tipo di SN: perché solo qui si ha la possibilità di dire qualcosa (e di essere, in qualche modo ascoltati) anche quando non si ha niente da dire.
"I social network inducono un falso senso di intimità e comportano rischi per la sfera personale degli individui coinvolti".
Dal documento del garante per la protezione dei dati personali
Dal documento del garante per la protezione dei dati personali
Perché tornarci su proprio oggi? Perché da qualche settimana si è riaccesa la polemica intorno all'affidabilità delle informazioni contenute in FB, subito dopo la notizia che gli inquirenti - nel corso delle indagini su Vanessa Lo Porto, giovane disoccupata separata dal marito, che il 23 aprile scorso ha annegato i suoi bambini di 2 e 9 anni nel mare di Gela - hanno utilizzato come indizio sulla pista dell'omicidio volontario (inizialmente si era pensato a un incidente, poi a un malriuscito suicidio) le ultime dichiarazioni della donna proprio su FB. Può sembrare avventato, ingenuo, o il segno del malessere di un'epoca sempre più virtuale (e sempre meno in grado di scorgere il concreto che ha sotto agli occhi); ma io continuo a credere che il metodo sia sensato.
Tuttavia non mi abbandono all'entusiasmo. Ad esempio, i sondaggi sui SN continuano a rivelarsi inattendibili: quello su FB circa le imminenti elezioni in Gran Bretagna davano vincente (e di parecchio) Nick Clegg. In quella occasione anche Twitter si è messo in moto, senza grandi risultati. (Da non sottovalutare però, almeno in potenza, la capacità dei SN non tanto di predire il risultato, quanto di influenzarlo). Mi torna in mente il sondaggio sulle primarie del PD promosso dal blog di Beppe Grillo, che dava Grillo stravincitore; al proposito Michele Serra commentò su «Repubblica»: "beato lui che celebra i fasti della rete e non si abbassa a fare i conti con la banalità del quotidiano".
Per concludere senza dare l'impressione di star parlando bene dei SN, dirò due parole sul documento del Garante per la protezione dei dati personali dal titolo «Social Network: attenzione agli effetti collaterali», secondo il quale i SN "comportano dei rischi per la sfera personale degli individui coinvolti" e "inducono un falso senso di intimità che può spingere gli utenti a [...] rivelare informazioni strettamente personali, provocando 'effetti collaterali', anche a distanza di anni, che non devono essere sottovalutati". Meglio fare attenzione a quello che scriviamo sui SN: uno di questi giorni potremmo trovarci nella spiacevole situazione di dover spiegare a un'autorità, al futuro datore di lavoro, al nuovo fidanzato che quelle cose le avevamo dette per scherzo. Dargliela ad intendere, purtroppo, potrebbe essere tutt'altro che uno scherzo.
(«Il Caffè», 16 luglio 2010)