martedì 29 giugno 2010

B. Goldacre, La cattiva scienza, ed. Bruno Mondadori, 2009

Come è possibile che si vendano in quantità industriale prodotti che non sono in grado neanche lontanamente di mantenere ciò che promettono? Come mai un così gran numero di ciarlatani ha a disposizione un così grande spazio su tv e riviste di rilievo nazionale? In definitiva, come è possibile che delle persone intelligenti credano a cose stupide? Se lo domanda Ben Goldacre, medico inglese dedito al giornalismo scientifico, nel suo La cattiva scienza (ed. Bruno Mondadori, 2009).
All’origine, secondo l'autore, c’è l’opera dei mezzi di comunicazione di massa i quali – guidati da una notevole ignoranza della materia scientifica e spinti
dagli interessi commerciali dei grandi potentati economici, soprattutto farmaceutici – non fanno altro che disinformare circa la reale efficacia e i seri rischi di certi prodotti, ma soprattutto distorcono il modo corretto di valutare come stanno le cose nella maniera il più possibile autonoma, obiettiva e serena nel giudizio (cioè in linea con le esigenze del metodo scientifico).
Il giornalista britannico tiene a precisare, prima d’ogni altra cosa, che la scienza è un metodo e un modo di pensare, non un insieme monolitico di conoscenze; soprattutto, non è qualcosa di riservato a una certa casta di “esperti” (e, conseguentemente, di inaccessibile ai profani). È infatti su questa falsa ma diffusissima immagine della scienza come qualcosa da subire in certo modo passivamente in quanto non qualificati, che si fonda quell’atteggiamento acritico verso ciò che è “dimostrato scientificamente”, tipico della nostra epoca (e trasversale a tutti i livelli di istruzione); paradosso del fatalismo che ritorna nel cuore della razionalità occidentale, grazie al quale prospera oggi la “cattiva scienza”. Goldacre analizza da vicino e nel dettaglio gli slogan, le argomentazioni, le prove e le singole parole utilizzate dai venditori di prodotti di ogni genere con la promessa di soluzioni improbabili (ai limiti del miracoloso) a qualsiasi tipo di problema. E non risparmia nessuno: le sue indagini investono tra gli altri la cosmetica e la "ginnastica mentale", l’industria degli integratori alimentari e le tante “pillole della felicità”. La conclusione è che 
con la loro scelta delle notizie e il modo in cui le presentano, i media creano una parodia della scienza,
congeniale a propagandare per dimostrati dei risultati che nessun serio studioso potrebbe leggere senza arrossire.
Ciò vale in primo luogo per le cosiddette "terapie alternative", tra le quali spicca l'omeopatia. La questione qui non è se la scienza possa o debba essere l'unica legittima visione del mondo: la scienza non è né l'unica possibile visione del mondo né l'unica legittima. Pari legittimità può avere ad esempio qualunque teoria che rifiuti la visione meccanicistica del corpo tipica della medicina occidentale e rifiuti di conseguenza anche il modo di concepire e di condurre gli esperimenti di verifica dell'efficacia di una certa terapia. Si potrebbe infatti essere ben lieti che la "medicina alternativa" dichiarasse senza mezzi termini di essere, appunto, una alternativa alla medicina occidentale tradizionale: ciò gioverebbe alla chiarezza e metterebbe le persone in condizioni di scegliere liberamente e con piena consapevolezza ciò che preferiscono. Perché il problema è purtroppo proprio l'opposto: cioè che tutte queste terapie "altre" fanno a gara nell'autoattribuirsi la patente di scientificità. A quel punto, ovviamente, nell'impossibilità di reggere il confronto con i modelli e i requisiti della medicina "ufficiale", prende il via ogni sorta di manipolazione dei dati sperimentali, alterazione delle statistiche, fraintendimento di concetti e dello stesso metodo sperimentale.
Critica che vale altrettanto per la medicina scientifica, di cui si abusa nel 
tentativo di medicalizzare i problemi sociali e politici, riducendoli al contesto biomedico e proponendo contro di essi improbabili soluzioni commerciali.
Intento che sfocia nei periodici allarmismi sanitari (il cui prototipo è quello del "vaccino trivalente", che ha attanagliato l'opinione pubblica britannica per ben nove anni, rivelandosi infine una clamorosa e gigantesca "bufala mediatica"). Il motivo per cui è tanto facile disinformare risiede nella innata irrazionalità degli uomini, che ha a sua volta diverse cause ("illusioni cognitive", cui è dedicato l'intero capitolo decimo): l'incapacità di cogliere correttamente la casualità di un insieme di informazioni (ovvero la tendenza a vedere un ordine e una forma anche dove non ve ne sono affatto); l'inclinazione a sopravvalutare le prove a sostegno delle proprie convinzioni; la propensione a individuare eccezionalità inesistenti e soprattutto quella ad abbandonarsi al conformismo sociale. Infine, c'è l'effetto placebo - enigma ad oggi irrisolto del rapporto tra la mente e il corpo - che permette a tante industrie sedicenti farmaceutiche di spacciare per medicinali delle pillole a base di zucchero.
Goldacre mantiene sempre un tono lucido, estraneo ad ogni invettiva, anche quando la gravità della truffa perpetrata farebbe gridare allo scandalo. È vero che talvolta elargisce considerazioni che tradiscono il suo scientismo di fondo («la teoria del Big Bang è assai più interessante del racconto della creazione contenuto nella Genesi», commenta ad esempio in apertura del quinto capitolo, in maniera gratuita e piuttosto superficiale: perché in quel momento anche lui casca nella fallacia dell’identificare la visione scientifica del mondo – benemerita – con l’unica visione del mondo che una persona sana di mente dovrebbe avere). Ma ciò non inficia né l'accuratezza dello scritto né l'onestà intellettuale dell'autore.
La documentazione citata è ridotta all'osso al fine di non appesantire la lettura; Goldacre rimanda per ogni approfondimento al proprio sito internet (in lingua inglese), che comprende i suoi articoli per il "Guardian", video, un forum di discussione, letture e link consigliati. Il libro è scritto con uno stile fluido e un taglio divulgativo che non sacrifica la serietà della trattazione; ricco di esempi e di figure esplicative, scevro da tecnicismi, riesce ad essere chiaro e accattivante anche per il lettore non avvezzo alla divulgazione scientifica. Un prezioso “antidoto” alla stupidità di questi tempi.

(«Sapere», maggio-giugno 2010, pp. 78-79)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano