Quello di Illich è un sogno di libertà e di umanità: egli immagina un uomo che non produce nulla di superfluo (perché non è stupido) e che perciò non impiega più energia di quella necessaria (perché sa essere efficiente ed aborre lo spreco). Ciò lo spinse a dire, a proposito dell’energia nucleare, che l’abbondanza di energia paralizza l’azione dell’uomo (il quale tende ad affidarsi sempre più alla megamacchina industriale divoratrice di energia) e che – invece di rifiutare l’energia atomica per motivi “ambientalistici” o politici – si dovrebbe sostenere la possibilità di una produzione energetica minore, anziché semplicemente diversa.La mia è la ricerca di una politica dell’autolimitazione, grazie alla quale, anche oltre gli orizzonti dell’attuale cultura, il desiderio possa fiorire e i bisogni declinare.
Illich intende restituire all’uomo ciò di cui il mercato lo ha progressivamente privato, della sua creatività (omologata dalla standardizzazione industriale), della sua autonomia (inducendo sempre nuovi bisogni si è reso l’uomo dipendente dalle relative forme di soddisfazione), perfino del linguaggio:
siamo testimoni di una trasformazione appena percettibile del linguaggio corrente, per cui verbi che una volta indicavano azioni intese a procurare una soddisfazione vengono sostituiti da sostantivi che indicano prodotti di serie destinati a un consumo passivo: “imparare” diventa “acquisto di un titolo di studio”». Tutto assume una forma istituzionale, e la titolarità di ogni azione passa dl singolo all’ente: “io apprendo” diventa “l’istruzione”, “io guarisco” diventa “l’assistenza sanitaria”, “io mi muovo” diventa “i trasporti”, “io mi diverto” diventa “la televisione”. L’idea sottesa a questa impostazione è che l’uomo non sia nient’altro che un fascio di bisogni che è possibile soddisfare tramite il consumo di beni e servizi acquistabili sul mercato. Anche ogni attività umana diventa una merce, quantificabile in base a un valore di scambio che ne oscura il valore d’uso “qualificabile”: non avere un impiego significa passare il tempo in triste ozio, e non essere liberi di fare cose utili a sé o al proprio vicino. La donna attiva che manda avanti la casa, alleva i propri figli ed eventualmente ha cura di quelli degli altri è distinta dalla donna che lavora, ancorché il prodotto di tale lavoro possa essere inutile o dannoso.Quello di Illich è un sogno di liberazione da un meccanismo economico che scredita ogni forma di gratuità (nel doppio senso dell’assenza di prezzo e di somma libertà) e mortifica il gusto della bellezza:
mungere la capretta di famiglia era una libertà fino a quando una pianificazione più spietata non ne ha fatto un dovere, per contribuire al PNL.Un sogno di liberazione dall’infernale dispositivo (che a molti pare elementare buon senso) “produci-consuma-crepa”. La cattiva notizia è che è difficile, perché tutto sembra remare contro. La buona notizia, dice tuttavia Illich, è che è possibile.
(«l'Altrapagina», maggio 2010)
