sabato 29 maggio 2010

Invito al pensiero di Ivan Illich/7. Disoccupazione creativa

La mia è la ricerca di una politica dell’autolimitazione, grazie alla quale, anche oltre gli orizzonti dell’attuale cultura, il desiderio possa fiorire e i bisogni declinare.
Quello di Illich è un sogno di libertà e di umanità: egli immagina un uomo che non produce nulla di superfluo (perché non è stupido) e che perciò non impiega più energia di quella necessaria (perché sa essere efficiente ed aborre lo spreco). Ciò lo spinse a dire, a proposito dell’energia nucleare, che l’abbondanza di energia paralizza l’azione dell’uomo (il quale tende ad affidarsi sempre più alla megamacchina industriale divoratrice di energia) e che – invece di rifiutare l’energia atomica per motivi “ambientalistici” o politici – si dovrebbe sostenere la possibilità di una produzione energetica minore, anziché semplicemente diversa.
Illich intende restituire all’uomo ciò di cui il mercato lo ha progressivamente privato, della sua creatività (omologata dalla standardizzazione industriale), della sua autonomia (inducendo sempre nuovi bisogni si è reso l’uomo dipendente dalle relative forme di soddisfazione), perfino del linguaggio:
siamo testimoni di una trasformazione appena percettibile del linguaggio corrente, per cui verbi che una volta indicavano azioni intese a procurare una soddisfazione vengono sostituiti da sostantivi che indicano prodotti di serie destinati a un consumo passivo: “imparare” diventa “acquisto di un titolo di studio”». Tutto assume una forma istituzionale, e la titolarità di ogni azione passa dl singolo all’ente: “io apprendo” diventa “l’istruzione”, “io guarisco” diventa “l’assistenza sanitaria”, “io mi muovo” diventa “i trasporti”, “io mi diverto” diventa “la televisione”. L’idea sottesa a questa impostazione è che l’uomo non sia nient’altro che un fascio di bisogni che è possibile soddisfare tramite il consumo di beni e servizi acquistabili sul mercato. Anche ogni attività umana diventa una merce, quantificabile in base a un valore di scambio che ne oscura il valore d’uso “qualificabile”: non avere un impiego significa passare il tempo in triste ozio, e non essere liberi di fare cose utili a sé o al proprio vicino. La donna attiva che manda avanti la casa, alleva i propri figli ed eventualmente ha cura di quelli degli altri è distinta dalla donna che lavora, ancorché il prodotto di tale lavoro possa essere inutile o dannoso.
Quello di Illich è un sogno di liberazione da un meccanismo economico che scredita ogni forma di gratuità (nel doppio senso dell’assenza di prezzo e di somma libertà) e mortifica il gusto della bellezza:
mungere la capretta di famiglia era una libertà fino a quando una pianificazione più spietata non ne ha fatto un dovere, per contribuire al PNL.
Un sogno di liberazione dall’infernale dispositivo (che a molti pare elementare buon senso) “produci-consuma-crepa”. La cattiva notizia è che è difficile, perché tutto sembra remare contro. La buona notizia, dice tuttavia Illich, è che è possibile.

(«l'Altrapagina», maggio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano