Maggio 1860: un pugno di uomini dalla camicia rossa sbarca a Marsala pronto a scontrarsi con l'esercito borbonico. Sono i "Mille", i "garibaldini": nient'affatto preparati come si dovrebbe, privi come sono di armi adeguate, di munizioni, di denaro. Ma una cosa non manca: il coraggio e la determinazione a compiere un'impresa necessaria: l'Italia dev'essere una. Di tutto questo, con grande passione e attenzione ai dettagli, parla Claudio Fracassi nel suo ultimo Il romanzo dei Mille (ed. Mursia, 2010). L'abbiamo intervistato.
Continua il Suo racconto del nostro '800 italiano. Soltanto l'anno scorso ci aveva dato La ribelle e il Papa re (ed. Mursia), sull'attentato anarchico a Roma del 1867.
Io credo che riscoprire il Risorgimento sia interessante innzitutto dal punto di vista del racconto: vengono fuori cose che anche le persone colte non immaginavano. In secondo luogo serve a mostrare del Risorgimento una faccia diversa da quella dell'apologetica ufficiale e da quella rozzamente revisionistica che circola oggi, di impronta leghista o nostalgico-borbonica.
L'impresa dei Mille contro l'esercito borbonico ha il fascino di Davide che si scontra con Golia. Con un lieto fine al di là di ogni pronostico.
In effetti erano 1089 gli uomini partiti con Garibaldi dallo scoglio di Quarto; all'epoca, l'esercito borbonico in Sicilia era composto da 25.000 soldati molto ben armati, di cui 20.000 a Palermo. Quindi sembrava una follia, e d'altra parte Cavour così la definì: l'idea che Cavour sotto sotto fosse d'accordo è un'idea che è stata cara all'apologetica savoiarda, monarchica; in realtà Cavour pensava che fosse un'impresa suicida, da evitare. E perché hanno vinto? Per le capacità militari di Garibaldi, naturalmente, esperto guerrigliero, ma anche perché questi seppe tessere una robusta trama di alleanze con i gruppi più disparati e antitetici: con i picciotti contadini, abolendo la tassa sul macinato; con l'aristocrazia separatista, quella che più tardi prenderà le redini (quella del Gattopardo, per intenderci); infine con la Chiesa (nonostante Garibaldi fosse anticlericale). La strategia vincente di Garibaldi consistette nel saper cogliere e mettere d'accordo tutti quei fermenti eterogenei, ma determinati a condurre, ciascuno a proprio modo, la battaglia anticoloniale.
Un libro sull'unità d'Italia in un momento in cui la politica divide il paese in "italiani" e "stranieri", "padani" e "ladroni". Una coincidenza, o una scelta opportuna?
È una coincidenza. D'altro canto è ovvio che i processi che hanno portato all'Unità abbiano un risvolto politico, che finora è stato egemonizzato dalle fantasie o dalle rivendicazioni leghiste, oltre che da un neorevisionismo (chiamiamolo così, anche se in realtà si tratta soprattutto di un rozzo ideologismo neoborbonico) che sostiene la tesi che si stava meglio quando si stava peggio, cioè sotto i Borboni. In realtà non è così. È vero che ciò che è seguito a Garibaldi è stato un vero e proprio processo di conquista del Sud da parte del Piemonte e della sua burocrazia, della sua ideologia, del suo esercito; ma questa non era una conseguenza necessaria né prevedibile dell'impresa garibaldina, la quale era e resta un'impresa di liberazione.
Lei scrive libri di storia che si leggono come romanzi (un commento abusato, ma che qui è quanto mai adeguato). Cos'è questa malia della storia vera?
Io credo che noi dovremmo sotto questo aspetto guardare con interesse e anche con un po' di vergogna a quello che fanno gli altri popoli. La rivoluzione francese, ad esempio, è stata al centro di una pubblicistica sterminata di vario orientamento e lo è ancora oggi; quell'evento è stato ricostruito in tutti i modi. Perfino la conquista del West americano l'abbiamo conosciuta attraverso centinaia e forse migliaia di film. Sembra invece che gli italiani non abbiano dietro di sé alcuna storia, perché se ne parla poco e in genere male; invece ce l'hanno, e andrebbe conosciuta e indagata senza pregiudizi.
Cosa ci insegna oggi la vicenda dei Mille, disperati ma intrepidi, ma soprattutto mossi da un'istanza insopprimibile di dignità e di giustizia?
Il mio libro è costruito prevalentemente sulle memorie e sui diari dei giovani partiti insieme a Garibaldi. Questo lo rende romanzesco, pur rimanendo un libro di storia (ci sono, tra l'altro, 60 pagine di note). Non è un libro di fantasia: ho cercato di avvicinare il lettore alla situazione di allora, come venne vissuta, quali erano le circostanze: dalle prime difficoltà negli approcci con la popolazione siciliana, inizialmente diffidente (i garibaldini parlavano lingue diverse dalla loro, si vestivano in modo diverso) fino all'alleanza che ha portato alla liberazione di Palermo. Credo che, al di là di ogni retorica, di questi giovani dovremmo essere genuinamente orgogliosi: essi erano allora davvero "la meglio gioventù" d'Italia.
(«il Recensore.com», 8 aprile 2010)