martedì 9 marzo 2010

La condizione dell’uomo glocale


La nostra epoca si dà il nome di globalizzazione; la sua immagine è il pianeta, la terra, vista dall’esterno come nelle foto dal satellite: niente più separazioni, niente più muri, niente più distanze. Dove tutto ciò che esiste è unitario, omogeneo e indiviso, come può esserci spazio per la frontiera, per la frattura?
Eppure mai come ai giorni nostri assistiamo alla pressione delle spinte separatiste, nazionaliste, secessioniste, identitarie, anti-migratorie. Come si spiega questa contraddizione? Per Zygmunt Bauman, sociologo polacco e docente di sociologia all’Università di Leeds, in Gran Bretagna, la contraddizione è solo apparente; di fatto, i rapporti di potere
esistenti – sul piano politico ma soprattutto economico, che spesso condiziona o addirittura manovra l’altro – hanno bisogno di una ampia frammentazione, anche geopolitica, affinché il capitale possa muoversi ed espandersi nella maniera più fluida possibile. È infatti più facile per una corporation influenzare il comportamento del governo di un piccolo Stato – in termini di politica fiscale, doganale, ecc. – anziché di uno grande. Sul piano psicologico e sociale ciò viene incentivato tramite l’incoraggiamento del populismo xenofobo e di tutte quelle tendenze facenti capo alla matrice del “coltivare il proprio orticello”. Bauman conclude – nel libro Globalizzazione e glocalizzazione (ed. Armando, 2005) – che al capitale non interessano uno sviluppo e un progresso veramente globali, cioè di tutti, per tutti; le grandi aziende multinazionali hanno bisogno al contrario di una miscela di ingredienti globali e locali dosata ad arte, che il sociologo chiama “glocale”. Purtroppo però
ciò che è libera scelta per alcuni è destino crudele per altri.
Pochi decidono dove spostare e piazzare le risorse, molti devono adeguarsi. In un mondo in cui i 350 uomini più ricchi detengono un patrimonio complessivo pari a quello dei 2.5000.000.000 (due miliardi e mezzo) più poveri, non vi possono più essere dubbi sull’iniquità del sistema economico di produzione e di distribuzione della ricchezza.
Ma i ricchi possiedono la retorica, i mezzi di informazione e, appunto, tutte le risorse finanziarie necessarie a creare e sostenere il mito della “ricchezza per tutti”. Per una volta, spiega Bauman, dovremmo provare a invertire il nostro punto di vista, abbandonando quello della propaganda capitalistica per assumere quello del diseredato che vive con meno di due dollari al giorno, che non ha accesso ai servizi igienici e all’acqua potabile, costretto a migrare dalla povertà o dai cambiamenti climatici, i cui figli muoiono di fame o per malattie curabili.
Da questa prospettiva – spiega Bauman nel libro Una nuova condizione umana (ed. Vita e Pensiero, 2003) – la realtà appare capovolta: la “fluidità economica” tanto decantata da manager e guru della finanza, si traduce per “gli altri” nell’impossibilità di conservare il posto di lavoro, di crearsi una famiglia, di dare alla propria vita la forma di un progetto. Similmente, “libertà imprenditoriale” significa facoltà di realizzare profitto in spregio di qualunque responsabilità verso il prossimo e verso l’ambiente. La parola chiave di questo mortifero rovesciamento è “deregolamentazione” (deregulation). Se la speranza di un nuovo rovesciamento – che rimetta finalmente le cose al loro giusto posto – c’è, non può che venire dalla politica:
la responsabilità morale nei confronti dell’altro si traduce, una volta riferita ad un più ampio piano sociale, in una questione di giustizia; e la giustizia non è solo una questione di tipo etico e morale, bensì anche politico.
Dopo l’ultima crisi finanziaria, creata appunto dalla deregulation, le politiche di molti Stati nazionali si sono indirizzate a una maggiore regolamentazione, tornando anche a porsi il problema del welfare. La speranza non è ancora morta.

(«Il Caffè», 5 marzo 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano