venerdì 5 febbraio 2010

La sostanza dei ricordi. Intervista a Vincenzo Maimone

Vincenzo Maimone (Messina 1970) vive ad Acireale ed è ricercatore in Filosofia politica presso l’Università degli Studi di Catania. È autore del libro La società incerta. Liberalismo, individui e istituzioni nell'era del pluralismo (ed. Rubbettino, 2002) e di diversi saggi di carattere filosofico. Fa parte della redazione della rivista «Illustrazione siracusana». Un nuovo inizio (ed. Sampognaro e Pupi, 2009) è il suo romanzo d’esordio nel mondo della narrativa.

«Il professor Sapienza, a dispetto del cognome, della sua vita non aveva più capito un cazzo». Con questa battuta folgorante si apre Un nuovo inizio, suo primo romanzo. Come nasce l’idea di scrivere un giallo?
Ci sono diverse ragioni a supporto di questa decisione apparentemente inusuale o comunque difforme dal mio curriculum professionale. La prima è di ordine più generale e riguarda il bisogno di armonizzare il contenuto del messaggio con il suo contenitore. Detto altrimenti, c’era un aspetto della natura umana che avevo curiosità (o necessità) di indagare che richiedeva una forma espressiva diversa dalla più distaccata esposizione saggistica e, in questa ricerca di un registro comunicativo, la narrazione era quella che sentivo più vicina alla mia sensibilità o che perlomeno ero ragionevolmente sicuro di poter addomesticare. Un’altra motivazione concerne la scelta del genere e, in particolare, essa ha a che fare con la mia personale idea sul genere “giallo”. Sono profondamente convinto, infatti, che il “giallo”, contrariamente a quanto ritengono, o ritenevano fino a qualche tempo fa critici e letterati, sia un genere “completo” e per nulla secondario nel panorama letterario, e non solo per mere questioni di mercato. La mia idea, infatti, è che all’interno dell’intreccio giallo o noir, sia possibile inserire tutti gli aspetti e i caratteri che costituiscono la natura caleidoscopica dell’umanità: ribadisco tutti, anche, ma dovrei dire soprattutto, quelli che spesso, per convenzione o ipocrisia preferiamo nascondere allo sguardo. In ultimo, l’idea di scrivere un romanzo è nata come una sorta di sfida personale. Sentivo il bisogno di mettermi alla prova, di avventurarmi in un territorio che conoscevo soltanto per averlo visitato in qualità di lettore. Sotto questo profilo, mi fa piacere la citazione inserita nella domanda, dal momento che tutta la storia parte proprio da quella battuta che si è presentata così, perfettamente (almeno per me) confezionata e pronta per essere trascritta su un foglio.

Durante la lettura si incontrano spesso riferimenti a filosofi come Socrate, Husserl, Occam o a correnti di pensiero come lo stoicismo, il manicheismo, il pitagorismo. Che posto occupa la filosofia nella Sua narrativa?
Anche in questo caso sono obbligato a fornire due possibili interpretazioni. In primo luogo, intendo precisare che la mia intenzione non era quella di scrivere un romanzo filosofico, dal momento che il mio interesse principale era fondamentalmente quello di raccontare una storia, presentare uno spaccato della realtà quotidiana in grado, questo sì, di fornire spunti di riflessione. Sotto questo profilo, i riferimenti filosofici diretti si limitano all’essenziale: sono, se vogliamo, la dimostrazione che la filosofia è profondamente connessa alla nostra natura di uomini liberi dotati di una intrinseca e irrinunciabile capacità di agire. La seconda ipotesi è meno ufficiale ed evidentemente più personale, e corrisponde ad una sorta di “deformazione professionale” che non rinnego e di cui vado orgoglioso.

Che cos’è questo “nuovo inizio”, presente fin dal titolo, la cui ricerca tanto condiziona la vita dei personaggi?
Potrei dire che il tema generale del romanzo è l’elaborazione del passato. Come ho cercato di sintetizzare nella scheda di presentazione del libro, sono convinto che la memoria sia un materiale spesso e tuttavia estremamente malleabile, e che il modo con cui mettiamo insieme i vari pezzi della nostra biografia abbia a che vedere con la nostra capacità di scelta e con l’idea stessa di responsabilità. Ed inoltre, ho cercato di far emergere la natura perversa di un autoinganno al quale sovente cediamo quando ripensiamo al nostro passato. Sotto questo profilo, l’espressione “Un nuovo inizio” potrebbe apparire ridondante o un’inutile ripetizione. Ma il bisogno di inserire questo aggettivo nasce dal fatto che personalmente, non sono convinto che tutti gli “inizi” siano “nuovi”. Molto spesso, ed è qui che si nasconde la trappola, coltiviamo l’illusione di riportare semplicemente indietro le lancette: o rimuovendo i ricordi, facendo finta che alcuni eventi non siano mai accaduti, oppure, trincerandoci nella nostra cittadella interiore nella convinzione di poter così fermare artificialmente il tempo, condannandoci a vivere in una realtà cristallizzata. Si tratta, però, di un atteggiamento innaturale e potenzialmente patologico. Viceversa, un inizio autenticamente nuovo è quello che ci permette di chiudere realmente i conti, di farci capire gli errori e di cogliere nuove opportunità. All’interno del mio romanzo questa chance accomuna tutti i protagonisti della vicenda. Tutti si trovano di fronte al medesimo bivio: le scelte però sono totalmente divergenti, ed è ciò che nel bene e nel male ci rende unici.

Nel corso della narrazione, il narratore non perde occasione per sferzare l’immobilismo della Pubblica Amministrazione, il dogmatismo della Chiesa, la corruzione della politica, la stupidità dei luoghi comuni e di certa sedicente “saggezza popolare”. Sembra quasi che abbia voluto approfittarne per “togliersi dei sassi della scarpa”.
Ho già detto come consideri il giallo un genere completo. Sotto questo profilo, ho sfruttato la trama per affrontare temi su cui credo si debba porre attenzione e che meritano una qualche forma di riflessione. Gli attori che animano la scena narrativa si muovono in un contesto ben preciso: la realtà attuale. Mi sembrava importante evidenziare le intersezioni, i punti di contatto tra i temi generali e le singole biografie. Ma ho cercato di farlo adottando la prospettiva obliqua dell’ironia e del sarcasmo: elementi che considero essenziali alla sopravvivenza in tempi difficili come questi. È vero ho tolto qualche sassolino, ma ho l’impressione che ne siano rimasti ancora degli altri…

A metà della storia, il commissario Costante comincia a immedesimarsi nel personaggio del carnefice/vittima: a un tratto decide di “indagare la solitudine”. Cosa vuol dire?
Il legame tra il commissario Costante e il professor Sapienza è uno degli elementi strutturali del romanzo, ad esso, infatti, va aggiunto anche quello tra la vittima/carnefice e Tancredi Serravalle. Ciò che unisce i protagonisti della storia sono legami indiretti, fondati non su una conoscenza personale, quanto piuttosto su una sorta di analogia di circostanze e di episodi vissuti. Alla base c’è una questione più generale, ovvero come ho detto in precedenza, il modo in cui i ricordi, l’insieme di fatti e gli eventi, e soprattutto, le scelte, che caratterizzano e che contribuiscono a costruire la biografia di ciascuno vengono elaborati. Il commissario entra nella vicenda inizialmente per mere ragioni di ufficio, ma durante il primo sopralluogo resta turbato dalla solitudine che avvolge la vita, e che ha impregnato la casa e le suppellettili di Sapienza. La ragione di tale turbamento è legata al fatto che in qualche misura (che non intendo approfondire per non svelare troppi elementi della trama), quella condizione esistenziale gli è nota, familiare. Ciò che lo inquieta e che lo spaventa, ma che al tempo stesso, forse, lo salva, è la possibilità di un comune destino. In tutto questo la solitudine, in quanto realtà cristallizzata, gioca un ruolo cruciale.

Un nuovo inizio è stato semifinalista al Premio Scerbanenco 2009. Una bella soddisfazione.
L’inserimento nella ventina dei semifinalisti del premio Scerbanenco e il piazzamento, più che dignitoso, al 14° posto nella classifica finale rappresenta un inatteso ed entusiasmante sviluppo di questa mia esperienza narrativa. È difficile esprimere pienamente quello che ho provato quando ho letto l’elenco dei semifinalisti. Ricordo che insieme al mio editore commentavamo la notizia cercando di celare (malamente, devo confessare) una sorpresa quasi fanciullesca, da apertura dei regali la mattina di Natale. Ma il “riconoscimento” dello Scerbanenco si aggiunge a tutti i commenti benevoli, alle impressioni personali e alle critiche puntuali che mi sono arrivate dai lettori, che sono state e sono, per me uno stimolo essenziale e una sorta di cartina di tornasole della capacità di suggestione e coinvolgimento del mio stile narrativo.

Sta lavorando a un progetto per il futuro? Un altro giallo? O anche questo è un mistero?
Questa mia incursione nel mondo della letteratura è nata come un divertimento e uno svago e, come spesso accade alle cose divertenti, è diventata qualcosa di impegnativo e coinvolgente. Visto il risultato lusinghiero ottenuto dal libro, ho iniziato a costruire l’intreccio per un’altra storia. Credo che i personaggi abbiano ancora molto altro da raccontare e che ci siano margini di sviluppo. Non posso aggiungere altro, il ruolo mi impone di creare un po’ di suspense.

(«il Recensore.com», 5 febbraio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano