lunedì 11 gennaio 2010

Il Vangelo è sovversivo (ma la Chiesa no)


intervista a padre Giorgio Poletti, 5 gennaio 2010
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Padre Giorgio Poletti, missionario comboniano di origini ferraresi, è stato parroco a Castel Volturno dal 1996, dopo un’esperienza di quindici anni in Mozambico. Immediatamente dopo Natale, è stato “trasferito” altrove (ma la sua destinazione resta ignota). Noto per il temperamento battagliero che lo ha portato – nell’ambito del suo impegno per la tutela degli ultimi, immigrati, diseredati, sfruttati, prostitute – ad incatenarsi alle inferriate della Prefettura di Caserta nel giugno del 2003; ma noto soprattutto per l’enorme affetto manifestatogli dalla gente comune, in particolare dalla comunità africana del litorale domitio. È autore del libro Una vita più umana: riflessioni per i missionari che vogliono stare meglio, Literstampa, Villa Literno. Lei ha prestato il Suo servizio a Castel Volturno negli ultimi 14 anni. Com’era la situazione quando è arrivato, nel 1996, e com’è oggi? Credo ci sia stata un’escalation di problemi e di difficoltà. A Castel Volturno c’è una popolazione molto frammentata che ha subito il contraccolpo della forte immigrazione (anche se attualmente i flussi sembrano essersi arrestati, soprattutto quelli dall’est europeo: molta gente ha cominciato a toccare con mano le difficoltà del vivere a Castel Volturno, che non è certo il paradiso terrestre). È aumentato dunque il numero degli immigrati, soprattutto nelle zone di campagna – legate alla produzione della mozzarella di bufala – e del litorale, da sempre incapace di esprimere la sua naturale vocazione turistica; ma molto di ciò che viene detto in proposito dai mezzi di informazione è amplificato e distorto dalle logiche partigiane di potere che li guidano. Io ho sempre pensato che il numero di immigrati a Castel Volturno non superasse i 7.000; ma i problemi di questo paese non nascono dall’immigrazione, bensì dalla brama di denaro e dall’opera della criminalità organizzata, che ha esposto Castel Volturno all’abusivismo edilizio sfrenato e al traffico illecito di rifiuti. C’è bisogno di una vera rivoluzione culturale, che dovrebbe a mio avviso partire dalla scuola: le parrocchie non sono in grado di andare incisivamente oltre il piano devozionale. Per un recupero della coscienza critica e civile c’è bisogno dell’intervento massiccio e continuativo, non episodico com’è oggi, della scuola. Prima di interessarsi dello sfruttamento della prostituzione si è recato in Nigeria per “comprendere i meccanismi mentali degli aguzzini e delle vittime”. Cosa ha scoperto? Quello di cui mi sono occupato in particolare è il fenomeno della prostituzione africana, soprattutto nigeriana. Non riuscivo a capire come fosse possibile che così tante ragazze, e così giovani, potessero lasciare il loro Paese d’origine per venir qui a condurre questa vita. Una delle risposte è ovviamente il racket nigeriano della prostituzione, che offre alle ragazze la promessa di un futuro (molte ragazze in Nigeria non hanno nessun futuro, anche a causa della enorme sproporzione numerica fra uomini e donne). Molte ragazze giungono in Italia inconsapevoli circa il destino che le attende. E a causa delle leggi sull’immigrazione attualmente vigenti, che sembrano far di tutto per evitare la regolarizzazione degli immigrati, è sempre più difficile per una ragazza uscire fuori dal giro della prostituzione e non ricadervi in seguito. Il racket della prostituzione è un’organizzazione grande ed articolata, che si serve spesso dell’appoggio delle stesse famiglie delle vittime, condotte in Italia non solo attraverso il deserto ma a volte addirittura in aereo, tramite la falsificazione di passaporti e quant’altro. E tuttavia sono persuaso che la vera prostituzione si trovi molto più in alto, nei luoghi del potere; questa prostituzione “terra terra” è qualcosa che avvilisce e abbrutisce soltanto la donna, per quanto molte di loro abbiano conservato nonostante tutto una femminilità e un’umanità impressionanti. Non per niente è scritto che “le prostitute ci precederanno nel Regno dei Cieli” (Mt 21,31). Dal desiderio di comprendere queste “anomalie” è partita un’azione che ha coinvolto vescovi e suore della Nigeria ed è arrivata fino a Roma. Ma il problema è molto più grosso di quanto si possa raccontar qui in poche parole, ed è un problema che affonda le sue radici nell’economia: per cambiare veramente le cose c’è bisogno di cambiare l’economia. Quando ho cercato di fare qualche piccola cosa per modificare lo stato dell’economia, insieme ad un mio confratello, ci siamo resi conto che era molto difficile, ed anche molto pericoloso. In occasione dell’operazione “Alto Impatto” si è incatenato alle inferriate della Prefettura di Caserta. Che cos’era quell’operazione? Cosa è riuscito a ottenere tramite il suo gesto? Il nostro (c’era con me il mio confratello Francesco Nascimbene) incatenamento è stato un gesto di “rappresaglia” seguito al rastrellamento operato dai carabinieri di Mondragone all’American Palace. Si trattò di un vero e proprio rastrellamento, nell’ambito di una operazione antidroga, che coinvolse centinaia di persone, tutte immigrate. Le modalità con cui fu eseguito – finestre divelte, porte sfondate, cose cui ho assistito come testimone oculare ¬– non lasciano dubbi riguardo alla logica sottesa: quella della “bonifica” del territorio. Perché la mentalità è sempre quella della doppia misura: un condominio abitato da trecento bianchi è un condominio, mentre un condominio abitato da trecento neri è un ghetto. Questa logica della bonifica permane ed è tuttora attiva. Non illudiamoci: il motore di tutte queste cose è sempre il denaro: finché gli immigrati sono utili alla camorra perché pagano regolarmente le tangenti, va tutto bene; quando c’è bisogno di liberarsene in vista di un profitto maggiore, li si scarica come qualcosa da cui “disinfestarsi”. E gli immigrati neri hanno il grosso handicap di essere immediatamente visibili e additabili come “problema da risolvere”. Ma non ci illudiamo neppure su questo: il vero problema di Castel Volturno non sono gli immigrati, bensì i residenti: persone che a volte non hanno nemmeno la cittadinanza, e che si trovano lì solo per speculare nella dinamica e vastissima economia criminale, che permette di far soldi alla svelta depredando il territorio. Come dicevo prima, c’è bisogno di una rivoluzione culturale di enorme portata. Lei ha concesso (illegalmente) permessi di soggiorno «in nome di Dio». Qual è stato al riguardo il suo rapporto con le autorità civili di controllo e religiose? Prima di tutto vorrei precisare una cosa: io non ho distribuito illegalmente permessi di soggiorno, perché quelli che ho rilasciato io non lo sono affatto e non hanno nessun valore legale. Hanno però un valore simbolico: in un mondo dove le persone non sono riconosciute come tali, ma come numeri, come forza-lavoro, insomma come materiale da utilizzare o in esubero di cui liberarsi, ebbene, il semplice fatto di ricevere un permesso in nome di Dio è molto significativo. A Castel Volturno ero il parroco, cioè la massima autorità religiosa dopo il vescovo; lì ho rilasciato negli anni – in nome del Dio cristiano, sottolineo la parola “cristiano” – circa 4.700 permessi di soggiorno. Ora, in seguito al mio trasferimento, sono in attesa di una nuova destinazione; ma credo che se ce ne sarà ancora bisogno e ne avrò nuovamente l’opportunità, riprenderò a rilasciarne. Perché ciò che mi spinge a farlo è il Vangelo, che è sovversivo; se ne temiamo questo potere dovremmo metterlo bene sotto chiave, chiuderlo in galera, bruciarne le copie. E tutti quei gruppi, anche politici, che pongono se stessi sulla linea del rifiuto dell’accoglienza, si pongono per ciò stesso in opposizione al Vangelo. Bisogna tenerlo ben presente. Potranno anche agire in difesa dei diritti dei cittadini, ma non hanno niente a che fare con il Vangelo. Come mai è stato trasferito all’improvviso? Ha avuto difficoltà con le autorità religiose? Io ho sempre avuto, in questi anni, difficoltà con le autorità religiose. A Castel Volturno non sono mai stato in pace, si può dire che le difficoltà andassero aumentando invece di diminuire. Anche perché non mi sono mai piegato al malaffare e all’ipocrisia. La camorra non è soltanto quella che spaccia e spara, ma è una visione della vita, un modo di intendere la vita che distorce le relazioni, manipolando le persone in base ai propri fini del momento. Non ho accettato di essere manipolato e ho cercato sempre di non manipolare nessuno. Il cristianesimo insegna a vedere l’altro nella sua realtà, non a seconda di come intendo servirmene per i miei scopi. Ho ricevuto spesso pressioni, anche da Roma, e anche per farmi rimuovere dall’incarico di parroco; pressioni dalle quali il mio padre generale – finché ha potuto – mi ha sempre protetto e io gliene sono debitore, come gli ho scritto in una lettera. Ora che il suo mandato è scaduto, le cose vanno cambiando. Sono sempre stato una figura scomoda; ma non bisogna allinearsi con il potere, né economico né politico e nemmeno religioso, costi quel che costi. Che ricordo conserva della provincia casertana? Pensa di ritornarci? Adesso sono in attesa della nuova destinazione; a me piacerebbe continuare a lavorare con i poveri e gli immigrati. Castel Volturno certamente è una parte importante della mia vita: non sono stato un “mercenario” a Castel Volturno, è un posto che ho scelto fra tanti e fra tante difficoltà. Staremo a vedere.

(«Il Caffè», 8 gennaio 2010)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano