La democrazia non è descrivibile tramite una procedura (tanto che, in assenza di uomini dallo spirito democratico autentico, le sue istituzioni degenerano - come osserviamo purtroppo tutti i giorni), ma si fonda su valori condivisi e sul senso di appartenenza a una comunità umana. La responsabilità collettiva, il bene comune non sono “enti” del complesso democratico ma il frutto di una moralità diffusa e condivisa:
le società umane rimangono legate non solo per convenienza o per paura delle pene ma per qualcosa di più profondo, qualcosa che costituisce il substrato etico di ogni ordine politico. Anche le costruzioni democratiche si basano, oltre che su obblighi giuridici, sulla condivisione culturale e morale di valori e principi.
«Il neoliberismo oggi si riproduce sotto forma di neopopulismo con forti venature decisioniste, autoritarie, protezioniste».
L. Pennacchi, La moralità del welfare. Contro il neoliberismo populista, ed. Donzelli, 2008
L. Pennacchi, La moralità del welfare. Contro il neoliberismo populista, ed. Donzelli, 2008
Questi sono alcuni degli interessanti temi trattati da Laura Pennacchi nel suo La moralità del welfare (ed. Donzelli, 2008). Ma il punto che più mi ha colpito dell’intera trattazione non è stato tanto l’esame della democrazia quanto quello del “populismo”: l’autrice sostiene che il populismo non sia un banale e magari passeggero epifenomeno di qualche sventurata repubblica democratica, bensì una conseguenza diretta del tipo di democrazia consumistica e mediatica che si è affermato in Occidente negli ultimi vent’anni ad opera del neoliberismo materialistico, quella forma di “economia di Caino”, che spinge a coltivare il proprio orticello senza preoccuparsi della sorte del proprio fratello (anzi, a detrimento di quest’ultimo). Il populismo è “endemico ai processi democratici” di una civiltà abituata a dilatare sempre più la frattura tra la sfera pubblica e quella privata, imbonendo le masse fino all’ottundimento a colpi di spot pubblicitari, telenovelas e bagaglini vari:
qui, nell’abbandono della “responsabilità collettiva”, troviamo uno degli aspetti più inquietanti delle spoglie con cui il neoliberismo oggi si riproduce sotto forma di neopopulismo con forti venature decisioniste, autoritarie, protezioniste [...] l’opposto della riproposizione di un intervento pubblico finalizzato al potenziamento della sfera pubblica, al rafforzamento della democrazia, all’esercizio della “responsabilità collettiva”, in ordine alla realizzazione del “bene comune”.La politica si spettacolarizza e l’esternazione prende il posto del dibattito; la lotta contro il neoliberismo selvaggio (nella sua più deleteria accezione culturale e non soltanto economica) non si combatte più dunque sul solo piano delle idee, ma anche e forse soprattutto sul piano degli slogan: non basta più la sobria confutazione delle teorie (come ad esempio l’individualismo alla von Hayek), occorre scardinare gli slogan coriacei su cui il neoliberismo populista poggia e prospera.
A cominciare dal luogo comune che abbassare le tasse sia sempre e comunque un bene (perché va da sé che se da un lato è vero che a nessuno piace pagare di più quando è possibile pagare meno, dall’altro è vero pure che le tasse servono a finanziare i servizi collettivi e che la riduzione delle tasse non si traduce quasi mai in un aumento dell’efficienza ma in un taglio dei servizi - e sono poi le fasce più deboli a risentirne maggiormente).
Purtroppo è vera anche una terza cosa: che, come si dice dalle nostre parti, “la gente è scema”. Ma forse non lo è quanto si crede, o meglio: non come si crede. Perché la gente sa essere sorprendentemente sveglia e reattiva quando si tratta di tutelare (quelli che crede essere) i propri interessi. E allora probabilmente il problema è soltanto essere in grado di trasformare la demagogia populista in pedagogia popolare. Un compito per la sinistra? Chissà. Come disse qualche mese fa Massimo Cacciari a proposito del futuro del Partito Democratico, “nutro delle disperate speranze”.
(«Il Caffè», 11 dicembre 2009)