martedì 25 agosto 2009
Esiste un Dio giusto?
(lettera di Anna Capaccioni alla redazione del mensile «l'Altrapagina», giugno 2009)
Ho letto l’articolo di Paolo Calabrò “Il Dio perverso” (marzo 2009), in cui si spiega che l’amore, quando diventa imposizione e dovere, può trasformarsi (pervertirsi) nel suo antagonista, l’odio, la prevaricazione. Mi sono chiesta allora: esiste un Dio Giusto, al di là dell’amore e della perversione? (I quali, in quanto estremi sono sempre troppo vicini al rischio dell’eccesso: e l’eccesso d’amore è pericoloso quanto l’eccesso d’odio). E poi: se dietro il nome del “Dio perverso” si cela il Male (che lo si chiami Lucifero o Arimane è magari secondario), per quale motivo esso si presenta all’uomo sempre sotto mentite spoglie?
Il Dio perverso è certamente una figura del Male, tuttavia la formula di Bellet sottolinea – più che il travestimento – il processo della perversione, quel meccanismo messo in moto dall’uomo che si lascia prendere dallo spirito dottrinario (“si deve credere”) o disciplinare (“si deve fare”). In una parola: la perversione consiste nel voler costringere l’uomo all’interno di un modello, teorico o morale, cui esso si conformi alla perfezione (e nel produrre a tal fine – o meglio, all’interno dello stesso processo – un’immagine perversa, appunto, di Dio). Tuttavia, l’uomo è imperfetto per natura (quella stessa natura che Dio ha voluto per lui); di conseguenza, chi pretende dall’uomo ciò che è contro la sua natura, finisce come Procuste, che tagliava le gambe ai suoi ospiti, quando questi erano più lunghi del letto. Dal confronto con una tale pretesa l’uomo non può che uscire mutilato, violentato, distrutto. La perversione non è in Dio, ma nell’uomo.
Dio è giusto, ma la giustizia non è quella umana (Mt 20,1-16). Perciò Dio è “folle” – in quanto oltrepassa ogni nostra comprensione – e “selvaggio” – perché sfugge a ogni tentativo di ingabbiarlo nelle categorie della nostra mente. Se Dio è Dio, dice Bellet, avrà certo il “diritto” di essere “dove” e “quando” vuole. A noi basti sapere che il suo “dove” è sempre vicino a noi. (p.c.)
(«l'Altrapagina», luglio-agosto 2009)
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