giovedì 16 aprile 2009

R. Van Drimmelen, Economia globale e fede, ed. Claudiana, 2002


"La fede cristiana non può separare vita spirituale e vita materiale" (p. 9): ecco la tesi fondamentale del libro di Van Drimmelen, basata sulla convinzione che "il Padre Nostro parla del pane quotidiano e della remissione dei nostri debiti. [...] Sarebbe sbagliato separare questa richiesta del pane quotidiano dal significato del pane eucaristico tanto quanto interpretare la remissione dei debiti in senso solo spirituale" (ivi)
Tuttavia, spiega Van Drimmelen, l'economia fa di tutto per relegare la fede in un aldilà ultramondano, al fine di appropriarsi interamente dell'al di qua. Ciò è evidente, ad esempio, nel tentativo di ostentare una razionalità a prova di discussione (il fatto che il capitalismo
abbia trionfato in quasi tutto il mondo dovrebbe costituire di per sé un argomento schiacciante - il che fa tornare con la mente all'Hitler del Mein Kampf, che spiegava agli uditori delle birrerie che è inutile discutere con gli avversari politici, consigliando al contempo di addestrarsi alle arti marziali) contro la pretesa dei 'valori irrazionali' della fede (scontro già rappresentato da Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844); oppure nell'appropriazione, da parte dell'economia, del linguaggio religioso (l'Autore ne riporta vari esempi alle pp. 19-21), come a dire: "Sono cose superate, che non val la pena prendere sul serio".
E in effetti la fede sembra essere l'ultimo baluardo contro l'avanzata di un'economia globale che pare trasformare in merce tutto quello che tocca. Non c'è politica che tenga, né cultura, né economia alternativa. Numerosi sono al riguardo gli esempi di Van Drimmelen al capitolo sulle multinazionali; particolare rilievo ha - ad avviso di chi scrive - il riferimento al MAI (Accordo Multilaterale sugli Investimenti) perché consente di sfatare il mito dell'economia come regno della libertà, cogliendo la portata del fenomeno per cui il governo di un paese può essere 'comprato' - non è lirismo – ovvero costretto ad emanare un certo tipo di legislazione in cambio di investimenti esteri in quel paese (la qual cosa si rivela spesso controproducente per il paese stesso, altro tema affrontato dal testo).
Ci si trova di fronte a un'economia per la quale ogni affermazione sul valore dell'uomo sa di comunismo, i cui grafici rappresentano il PIL ma non i morti per fame ad esso connessi (il capitolo VIII del libro contiene proprio una critica degli indici economici tradizionali ed una descrizione di alcuni indici alternativi). Quest'economia funzionante ma un po' ottusa è come un motore che gira al massimo della potenza producendo un frastuono assordante: il rendimento è ottimale, ma se un operaio finisce con le mani negli ingranaggi... non si riesce a sentirne le grida. La filosofia dell'ultimo secolo ha acclarato che la scienza 'non pensa', che il discorso sui 'valori' non le appartiene.
Parimenti, l'immagine che Van Drimmelen dà con il suo libro è quella di un'economia che 'non sente', sorda ai richiami dei popoli, chiusa in se stessa, con le sue pretese ragioni, per la quale è facile stigmatizzare la posizione di chi ha ancora voglia di sentire le grida della sofferenza e dell'ingiustizia: non si può tornare al baratto, non si può arrestare il progresso, né far valere oggi le prescrizioni bibliche sull'utilizzo dei terreni (il libro tratta anche di questo). Tuttavia, il problema non è mettere in discussione la legittimità della proprietà privata e della libera impresa, né dal punto di vista teorico né dal punto di vista morale, ma piuttosto criticare l'equazione (che all'economia globale pare scontata, ma non lo è affatto) economia = capitalismo = liberismo = globalizzazione, la quale ha la grave pecca di non riuscire a quantificare il costo dei milioni di morti a causa di uno sfruttamento grossolano e miope delle risorse del pianeta.
Secondo l'Autore, la sfida che si pone oggi al credente è fare in modo che il mondo torni ad essere un posto abitato da uomini (e non da individui), un mondo nel quale possa emergere anche il profilo qualitativo delle cose, dove non sia più uno scandalo dire che 'la vita non ha prezzo': una sfida che parte dalla proposta di alternative concrete (trattate nell'ultimo capitolo, dal titolo eloquente "Segni di speranza"). In definitiva, un libro - questo di Van Drimmelen - che sa coinvolgere e parlar chiaro senza eccedere nei toni e senza abbandonarsi a facili utopie, un libro piacevole e accessibile a tutti (anche se a volte gli esempi - del resto numerosissimi - sono esposti in maniera un po' sintetica, il che non ne rende immediata la comprensione, soprattutto a chi è a digiuno dell'argomento). Da consigliare a coloro che sono convinti che un mondo di tutti, ma che non appartiene a nessuno, è ancora possibile.

(SWIF - 02/08/02)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano