L’odio nasce dalla paura, che a sua volta nasce dall’incertezza: dall’incertezza a 360° propria della condizione umana della modernità liquida (Bauman), in cui nessuno può essere sicuro che di qui ai prossimi tre mesi manterrà il proprio posto di lavoro, scaturisce un timore senza volto del cambiamento inevitabile, cui l’umana razionalità – per sua stessa costituzione – ha bisogno di dare un nome: ecco che l’ansia e la paura di intere società vengono scaricate su gruppi cui viene addossata, senza appello, la colpa dell’“aggressione allo status quo”: gli ebrei, gli zingari, i musulmani.
Meccanismo che trova terreno fertile in una mentalità avvezza a dipingere la realtà in chiaroscuri privi di toni grigi: in un batter d’occhi ci si ritrova ad essere “noi” contro “loro”, i buoni cristiani contro gli atei immorali, gli onesti lavoratori contro i mendicanti fannulloni. Meccanismo che, tuttavia, per poter funzionare a pieno regime dev’essere inconsapevole, trasparente a chi lo adotta: per poter essere schiacciato definitivamente, senza pietà e senza rimorso, l’altro deve sempre incarnare il Male assoluto,
l’essenza di tutto quanto la civiltà rifiuta e aborre (non basta, ad esempio, che l’ebreo sia semplicemente diverso: dev’essere colui che avvelena i pozzi d’acqua potabile e che congiura per la riduzione in schiavitù della cristianità intera). È tagliandosi fuori completamente dal contatto con l’altro, da ogni dialogo e da ogni forma di rapporto, che ci si può fare di lui un’immagine talmente stilizzata da annullare ogni sentimento di empatia e di fratellanza umana. Vuoto morale che una certa politica fa presto a riempire: ecco che nel dibattito politico spuntano, d’improvviso, i “valori” da “difendere”, ecco che la “civiltà” ha d’un tratto bisogno di essere protetta dalla barbarie. In questo modo l’odio dell’altro si traveste da amore per la patria, la dissimulazione è perfetta e il cerchio si chiude. L’odio, fenomeno effimero e «innaturale che contraddice la condizione umana» (p. 189), può così essere prodotto dalle società moderne su scala industriale.
Il messaggio conclusivo di Donskis è chiaro: soltanto il volto reale dell’altro, non la figura distorta che si fa la nostra “immaginazione turbata”, può condurci fuori dal tunnel dell’odio fratricida (e suicida) e ispirarci la com-passione necessaria a un dialogo finalizzato alla pace. In un’analisi che spazia dalla sociologia alla filosofia e alla letteratura, l’autore mette a fuoco con perizia e puntualità uno dei lati oscuri della modernità. Prefazione all’edizione italiana di Zygmunt Bauman.
(«l'Altrapagina», aprile 2009)
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