giovedì 16 aprile 2009
Giornata di studi S.U.N. 27/3/2009. Crisi della formazione e della cultura
Circa 150 persone nell’Aula D’Antona di Palazzo Melzi, sede del Dipartimento di Scienze giuridiche della Seconda Università di Napoli, a Santa Maria Capua Vetere, in occasione della giornata di formazione e di studi dal titolo “Crisi della cultura e formazione della persona”. Tra i relatori Giuseppe Limone, direttore del Dipartimento di Filosofia politica della S.U.N., Corrado Calabrò, Presidente dell’autorità garante per le comunicazioni, Sergio Sorrentino, docente di Filosofia della Religione presso l’Università di Salerno, Soumaya Mestiri, professoressa dell’Università di Tunisi, che ha tenuto la sua relazione sulla “crisi dei valori” in lingua francese.
Dopo il saluto iniziale del prof. Limone, organizzatore dell’evento, il prof. Mario De Rosa reca il saluto del Rettore e auspica che il ruolo dell’università oggi, soprattutto in un territorio come quello della provincia di Caserta – piagato dalla
criminalità organizzata e dalla disoccupazione – non sia semplicemente quello di «trasferire conoscenze», bensì quello di «formare le coscienze» delle generazioni giovani, affinché queste siano in grado di risolvere i problemi che il nostro tempo si porta dietro o che contribuisce a creare.
Considerazione che richiama il tema dominante dell’incontro, quello dell’educazione. Per Calabrò la nostra è un’epoca di “videocrazia”, in cui la TV punta a travolgere il proprio pubblico piuttosto che a coinvolgerlo, fino ad imporsi come criterio di verità: Calabrò racconta l’aneddoto di un suo dialogo con il cameriere di un bar di Roma, davanti al quale è avvenuta una sparatoria qualche ora prima; alla domanda su cosa sia successo il barista risponde: “Pare che ci sia stata una sparatoria. Ma non so, il TG non ha detto niente”.
Ma la televisione impone anche un suo linguaggio peculiare, che rifugge dalla precisione e perfino dalla verità stessa: in qualunque dibattito televisivo, svolto il più delle volte fra personaggi incompetenti o ignari dell’oggetto di discussione, la sfida verbale si conduce sul filo della battuta e dell’ammiccamento e viene vinta dall’intervento più spavaldo e telegenico (anche se a supporto di un’idea falsa) invece che da quello più sensato. Ciò grazie soprattutto all’opera infaticabile dei conduttori, sempre pronti a interrompere un discorso al minimo cenno di approfondimento per passare la parola al protagonista di un reality. Tutto questo avviene perché la TV, molto più che i giornali (anch’essi tuttavia colpiti dal fenomeno), è in preda al panico che lo spettatore faccia zapping e che l’audience (misurata minuto per minuto, al “minutaggio”, come si dice in gergo), crolli di conseguenza. Perché sull’audience si basa la pubblicità, cui la televisione è asservita; pertanto, essa cerca di continuo di abbassare il livello critico (cioè qualitativo) dei suoi programmi, al fine di renderli accessibili a un pubblico sempre più vasto (constatazione che spinge Calabrò a dire che a volte perfino la pubblicità è più creativa – e, in questo, più salutare – della TV). Tuttavia, in questo movimento, la televisione non è soltanto compiacente con una certa estetica, ma contribuisce attivamente alla deformazione del gusto dei suoi utenti. Perché il gusto, checché se ne dica, va educato: la televisione, conclude Calabrò, è ‘desipiente’.
Sulla stessa linea Limone, per il quale l’uomo non deve accontentarsi di un pensiero adeguato ai tempi, che lo induca a rassegnarsi e a togliere le mani dal timone della sua esistenza storica, per lasciarla in quelle della tecnologia e dell’economia. L’uomo, piuttosto, deve sempre di nuovo riappropriarsi della sua possibilità di pensare come vorrebbe che il suo presente e il suo futuro fossero, e degli spazi sociali (ovvero politici) per realizzare le proprie aspettative.
In questo va ripresa anche la stessa idea di educazione, a volte frettolosamente accantonata in quanto vista come imposizione ad altri dei propri valori. Ma, sottolinea Limone, a pensare s’impara; in assenza di ogni educazione non si diventa più liberi e creativi, ma solo più sbandati e sradicati. (Chi di noi si sentirebbe di abbandonare il proprio figlio in balia dell’auto-educazione, senza rivolgergli mai una parola – ché ogni parola è un’espressione d’intenti – senza mai aiutarlo a chiarire un dubbio, per paura di condizionarlo?)
Per Limone la crisi economica è “ben venuta”, perché ci aiuta a capire che quello che accade dall’altra parte del mondo ci riguarda direttamente, e lo è anche quella ambientale, che ci spinge a riflettere sull’insostenibilità di un’economia basata non sulla soddisfazione dei bisogni, ma su quella dei desideri, manipolabili (e manipolati) dalla pubblicità. Insomma, siamo giunti a uno storico crocevia nel quale l’umanità ha la possibilità di riscoprire il valore irrinunciabile di ciò che la fonda: la persona umana, prima e al di là di qualunque ideologia, di qualunque automatismo del progresso, di qualunque mercato globale. Tuttavia, va preso atto che la velocità di questo mondo globalizzato richiede agli uomini uno sguardo in grado di vedere più lontano di prima: bisogna ambire a un pensiero all’altezza di questa realtà.
(«Il Caffè», 3 aprile 2009, pp. 6-7)
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