Nell’epoca della crisi delle istituzioni – Stato, scuola, Chiesa, sindacato, che garantivano la solidità e la stabilità dei riferimenti della società prima che questa diventasse “liquida” (per dirla con la felice espressione di Bauman) – l’economia si pone come garante del senso delle cose e, in particolare, di quello della vita umana e sociale: ecco che si parla di “ordine economico”, di “leggi dell’economia”, di “esigenze del mercato”.
Perché l’uomo prospera solo all’interno di un ordine, ed è disposto pur di averlo a pagare il più alto tributo perfino all’oppressione e alla tirannia. L’uomo ha bisogno di assicurare a se stesso il senso del proprio essere e del proprio agire, perché non vive di solo pane, ma anche di simboli e di significati: ciò che i padri della sociologia moderna (Weber, Durkheim, Polanyi) sapevano bene, così come sapevano che l’invasività di un’economia individualistica avrebbe portato allo sgretolamento dei legami sociali e, alla fine, dell’intera società.
Le logiche economiche procedono in direzione del distacco dai bisogni sociali. La riaffermazione delle finalità e dei valori umani assume un’importanza considerevole.
A. SALMON, Impresa etica?, ed. Sapere 2000
Oggi anche le aziende scoprono che gli uomini non sono dei semplici “fasci di bisogni da soddisfare”, ma che la motivazione, lo spirito di squadra, il sentirsi utili giovano in maniera sostanziale al rendimento lavorativo. Le aziende fanno i conti con il dato di fatto che i dipendenti lavorano meglio se pensano che la loro fatica sia diretta a un servizio utile agli altri, e che viceversa vengono frustrati dall’idea che tutti i loro sforzi siano indirizzati unicamente all’accrescimento del capitale a beneficio degli azionisti. Per questo motivo le aziende cominciano a dotarsi di una propria “etica aziendale”, codice deontologico e insieme dichiarazione d’intenti, volta a instillare nei dipendenti la coscienza di star lavorando per il bene di tutti, di una società che si arricchisce grazie allo sforzo di ogni singolo. Come rileva ANNE SALMON nel suo recente Impresa etica?, ed. Sapere 2000, «la preoccupazione [delle aziende] concerne una tendenza: le logiche economiche procedono in direzione del distacco dai bisogni sociali, ambientali e dalle libertà democratiche. In un simile contesto, la riaffermazione delle finalità e dei valori umani assume un’importanza considerevole» (pp. 20-21).
Insomma, le aziende – che hanno bisogno della società proprio come ne hanno bisogno i singoli – producono delle etiche ad hoc per rinsaldare quei legami sociali che l’economia stessa tende a indebolire. Ma se le cose stanno veramente così, è giunto il momento di prendere coscienza che, per un lavoratore, venir licenziato non significa solo perdere i mezzi della propria sussistenza, ma anche e soprattutto venir privato di un ruolo e di una dignità sociali senza i quali egli è ridotto a mera eccedenza di un mondo che non ha più bisogno di lui. Ne va non soltanto del suo lavoro, ma del senso stesso della sua vita. Auspicabile (ancorché inattuale) punto di partenza di ogni politica economica.
(«Il Caffè», 10 aprile 2009)