domenica 10 febbraio 2013

Guerra e pace/1


Come c’era da aspettarsi, il Nobel per la pace all’Europa continua a far discutere. Per alcuni va festeggiato il fatto che l’Europa sia riuscita a scongiurare la guerra sul proprio territorio nell’ultimo mezzo secolo. Altri ritengono che non si possano premiare per la pace coloro che hanno spostato la guerra dal proprio territorio a quello altrui (Iraq, Afghanistan, Libia, Malvine ecc.). Altri poi ricordano che molti Paesi europei sono perennemente in cima alla classifica mondiale dei produttori e degli esportatori di armi. Altri infine ricordano che l’Europa, ancora oggi, è tutt’altro che aliena dalla guerra e che gli Stati europei debbano continuamente difendersi gli uni dagli altri (per la guerra economica intestina in corso in Europa e per il “trattamento bellico” che gli europei ricchi riservano a quelli poveri, cfr. questa intervista a Marco Revelli). Qualcuno spinge sul pedale del sarcasmo: la Norvegia - dice - appartenente alla NATO ma non all’Unione europea, avrebbe voluto premiare direttamente la NATO, per le brillanti “operazioni di pace” condotte nel mondo negli ultimi cinquant’anni, ma per evitare un conflitto d’interessi ha preferito premiare più genericamente la UE.

L’Europa, oggi in guerra in ogni dove, riceve il Nobel per la pace. Il prossimo è per Godzilla

Non contento vorrei andare oltre e proporre di conferire il prossimo Nobel per la pace non più a coloro che fanno la guerra (e che ne hanno già ricevuti tanti), ma a coloro che riescono a dire la più bella frase sulla guerra. Ecco, io alcune in mente ce le avrei, non sono mie ovviamente - sono immodesto, ma non tanto da autocandidarmi - e allora, scartando quelle troppo antiche tipo “se vuoi la pace prepara la guerra” (anche nella moderna versione orwelliana “la guerra è pace”), potremmo ricordare con l’ironia amara di De Gregori che “la guerra è bella anche se fa male”. O andare a quello storico cristiano che sul «Foglio» scrive: “la Chiesa non ha mai professato il pacifismo. Il combattimento cristiano, che è prima di tutto un atteggiamento spirituale, ma che comprende la possibilità della legittima difesa, della guerra giusta e perfino della ‘guerra santa’, appartiene alla più pura tradizione cattolica”; oppure, per rimanere in ambito cristiano, al vescovo Farina per il quale i duemila bersaglieri della Brigata Garibaldi di Caserta di ritorno dall’Afghanistan sono “i figli migliori della patria” (per inciso e per chiarezza, quelli di ritorno dalle missioni internazionali sono quelli più esposti al rischio di contrarre la leucemia, a causa dell’utilizzo di uranio impoverito nei teatri di guerra, mentre lo Stato maggiore dell’esercito nega qualsiasi relazione tra il servizio prestato e le malattie contratte. Se questo è il trattamento che la patria riserva ai suoi figli migliori, non so più cosa temere per noi che siamo fra i peggiori). Ne riparleremo.

(«Il Caffè», 9 febbraio 2013)

Paolo Calabrò

Filosofia e Noir

Madrelingua napoletano, vive a Caserta, dedicandosi alla famiglia, alla filosofia e, ovviamente, al noir. Gestisce il sito ufficiale di Maurice Bellet in italiano