
L’Europa, oggi in guerra in ogni dove, riceve il Nobel per la pace. Il prossimo è per Godzilla
Non contento vorrei andare oltre e proporre di conferire il prossimo Nobel per la pace non più a coloro che fanno la guerra (e che ne hanno già ricevuti tanti), ma a coloro che riescono a dire la più bella frase sulla guerra. Ecco, io alcune in mente ce le avrei, non sono mie ovviamente - sono immodesto, ma non tanto da autocandidarmi - e allora, scartando quelle troppo antiche tipo “se vuoi la pace prepara la guerra” (anche nella moderna versione orwelliana “la guerra è pace”), potremmo ricordare con l’ironia amara di De Gregori che “la guerra è bella anche se fa male”. O andare a quello storico cristiano che sul «Foglio» scrive: “la Chiesa non ha mai professato il pacifismo. Il combattimento cristiano, che è prima di tutto un atteggiamento spirituale, ma che comprende la possibilità della legittima difesa, della guerra giusta e perfino della ‘guerra santa’, appartiene alla più pura tradizione cattolica”; oppure, per rimanere in ambito cristiano, al vescovo Farina per il quale i duemila bersaglieri della Brigata Garibaldi di Caserta di ritorno dall’Afghanistan sono “i figli migliori della patria” (per inciso e per chiarezza, quelli di ritorno dalle missioni internazionali sono quelli più esposti al rischio di contrarre la leucemia, a causa dell’utilizzo di uranio impoverito nei teatri di guerra, mentre lo Stato maggiore dell’esercito nega qualsiasi relazione tra il servizio prestato e le malattie contratte. Se questo è il trattamento che la patria riserva ai suoi figli migliori, non so più cosa temere per noi che siamo fra i peggiori). Ne riparleremo.
(«Il Caffè», 9 febbraio 2013)
