
Dopo Chi ha paura di Pulcinella? e Uccidete Pulcinella (questo volume è il terzo della saga: l’ultimo, già annunciato, si intitolerà Pulcinella sotto terra), torna la figura dell’eroe partenopeo che, da solo, riesce a mettere alla gogna i camorristi di ogni latitudine, irridendoli, e riportando la speranza fra la sua gente, il popolo di quella Napoli che - come molte altre realtà del sud Italia - crede, sì, che la criminalità organizzata sia un fenomeno storico transitorio, destinato un giorno a scomparire (come diceva Giovanni Falcone a proposito della mafia), ma ha perso la speranza di riuscire a vedere quel giorno con i propri occhi. La diatriba sull’idea di giustizia che si annida nella mente e nelle azioni del giustiziere mascherato è occasione per Massimo Torre - napoletano classe ’58 che vive a Roma ed è stato sceneggiatore di film e serie televisive di successo, oltre a far parte della giuria del Premio Solinas, il più prestigioso premio di sceneggiatura italiano - per una più ampia riflessione sulla giustizia in generale, quella di un mondo che sembra aver dimenticato la morte per fame e per malattie curabili di milioni di persone, e che pare non risentire della sempre più iniqua ripartizione delle ricchezze. Un romanzo godibile - al di là dell’ortografia delle abbondanti parti in dialetto napoletano, completamente sbagliata - che invita lo stesso lettore a riflettere e a schierarsi. Impossibile non prendere posizione.
M. Torre, La giustizia di Pulcinella, ed. e/o, 2017.
(«Mangialibri», 2 ottobre 2017)