
Uno studio del corpo - del suo culto, della sua immagine, del suo sfruttamento per fini secondi - in epoca fascista, intrisa di una filosofia gentiliana volta al fare, più che (o dovremmo dire: “anziché”?) al pensare, fra esperimenti di eugenetica à la Tetsuo (la commissione creata da Mussolini per sviluppare un piano di ottimizzazione dell’educazione fisica e della preparazione militare, consegnò un rapporto nel quale si parla di un “ingegnere biologico” impegnato nella “costruzione di un uomo-macchina”: “da uomini resi così automaticamente e fisiologicamente migliori deriveranno figli sempre più robusti”) e sogni di supremazia che, più si faceva difficile da realizzare, più diventava indispensabile ostentare. Un saggio dalla tesi non dirompente, scritto con un piglio accademico rivolto evidentemente a un pubblico abituato a frequentare un certo tipo di letteratura scientifica - si tratta a ben vedere di un lungo articolo, di meno di 40 cartelle - con un inserto fotografico infratestuale di 16 pagine in bianconero e una nutrita bibliografia quadrilingue, elaborato nell’ambito delle ricerche finanziate da un Award Sapienza Università di Roma del 2014. Marcello Barbanera è docente di archeologia e storia dell’arte greca e romana alla Sapienza di Roma e visiting professor a Parigi.
Marcello Barbanera, Il corpo fascista, ed. Aguaplano, 2016.
(«Mangialibri», 5 aprile 2018)
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